21 Infatti per me il vivere è Cristo e il morire guadagno.
22 Ma se il vivere nella carne porta frutto all’opera mia, non saprei che cosa preferire. 23 Sono stretto da due lati: da una parte ho il desiderio di partire e di essere con Cristo, perché è molto meglio; 24 ma, dall’altra, il mio rimanere nel corpo è più necessario per voi. 25 Ho questa ferma fiducia: che rimarrò e starò con tutti voi per il vostro progresso e per la vostra gioia nella fede, 26 affinché, a motivo del mio ritorno in mezzo a voi, abbondi il vostro vanto in Cristo Gesù.
Esortazione alla perseveranza
27 Soltanto, comportatevi in modo degno del vangelo di Cristo, affinché, sia che io venga a vedervi sia che io resti lontano, senta dire di voi che state fermi in uno stesso spirito, combattendo insieme con un medesimo animo per la fede del vangelo, 28 per nulla spaventati dagli avversari. Questo per loro è una prova evidente di perdizione, ma per voi di salvezza; e ciò da parte di Dio. 29 Perché vi è stata concessa la grazia, rispetto a Cristo, non soltanto di credere in lui, ma anche di soffrire per lui, 30 sostenendo voi pure la stessa lotta che mi avete veduto sostenere e nella quale ora sentite dire che io mi trovo.
L’apostolo Pietro, in una delle sue lettere, afferma che il modo di esprimersi di Paolo può essere complicato. I versetti che studiamo oggi potrebbero rientrare in questa descrizione di Pietro. Però più che complicato, il testo di oggi sembra confusionario. Paolo sembra dire una cosa, poi il contrario e poi di nuovo la prima cosa. Chi conosce il greco afferma anche che la struttura del testo è confusionaria, al punto da affermare che “l’agitazione della mente di Paolo si vede chiaramente nella sintassi spezzata del suo scritto” (96).
L’abbiamo già detto varie volte, la situazione di Paolo non è facile e anche se riesce a rimanere gioioso sembra altrettanto vero Paolo senta la pressione di una situazione stressante. Da una parte sa che il suo martirio, la sua morte non sarebbe che guadagno, ovvero poter essere alla presenza di Cristo, senza dover più soffrire. Questa è la soluzione migliore, come dice il versetto 23. Paolo nell’originale usa un triplice comparativo, per sottolineare quanto questa opzione sia la più desiderabile: essere con Cristo, dopo la morte, è “molto preferibilmente migliore”.
Ma Paolo è stretto, chiuso da entrambi i lati al punto da dichiarare di non sapere cosa preferite. Perché dall’altra parte rimanere in vita gli permetterebbe, in mezzo alle sfide che deve quotidianamente affrontare, di poter portare avanti il suo lavoro, di impattare positivamente i filippesi, come altre chiese che aveva fondato.
Ancora una volta colpisce l’impatto del vangelo nella vita di questo uomo, che fa ruotare tutta la sua vita e anche la sua morte intorno ad esso.
Nella mia chiesa di origine avevamo una signora anziana che spesso condivideva il fatto di non vedere l’ora di andare in cielo. Lo diceva spesso, credo, con una nota di resa, di una persona che il suo l’aveva fatto e che voleva solo potersi riposare presso il Signore. Però al tempo stesso fino alla fine è stata impegnata a condividere la sua testimonianza, a parlare del Signore, ad andare in chiesa, a cantare.
Dal versetto 27 fino al 30 troviamo una delle esortazioni di Paolo per i credenti di Filippi.
Esortazione alla perseveranza
27 Soltanto, comportatevi in modo degno del vangelo di Cristo, affinché, sia che io venga a vedervi sia che io resti lontano, senta dire di voi che state fermi in uno stesso spirito, combattendo insieme con un medesimo animo per la fede del vangelo, 28 per nulla spaventati dagli avversari. Questo per loro è una prova evidente di perdizione, ma per voi di salvezza; e ciò da parte di Dio. 29 Perché vi è stata concessa la grazia, rispetto a Cristo, non soltanto di credere in lui, ma anche di soffrire per lui, 30 sostenendo voi pure la stessa lotta che mi avete veduto sostenere e nella quale ora sentite dire che io mi trovo.
Non è quindi chiaro cosa succederà a Paolo, ed è un mistero che non è stato ancora svelato del tutto ovviamente. Ma Paolo non scrive questa lettera per parlare soltanto di se stesso. Paolo dice “a prescindere da quello che mi accadrà, a prescindere da una mia futura visita oppure no, voglio che voi riusciate comunque a comportarvi in modo degno del vangelo.”
Cosa vuol dire vivere in una maniera che sia degna del vangelo? Vuol dire che è vero che siamo tutti peccatori, vuol dire che è vero che la vita è difficile, vuol dire che è vero che sbagliamo tutti, ma vuol dire anche che in quanto cristiani abbiamo “un’alta vocazione da adempiere. [I crisiani] Hanno ricevuto straordinari privilegi quali figli di Dio, membri del corpo di Cristo ed eredi della gloria eterna”, come dice un commentario a questa lettera. Mercoledì riflettevamo durante lo studio biblico sulla condanna maggiore che subiranno gli scribi che non si sono attenuti alla Legge come avrebbero dovuto, e Gesù in Luca afferma che “a chi molto è stato dato, molto sarà richiesto” (Luca 12:48). E a chi è dato di più dei cristiani? A nessuno.
Nella traduzione italiana qualcosina si perde, ma nell’originale il termine comportatevi ha alla base il termine politeia, cittadinanza. In altre parole, Paolo sta ricordando ai filippesi che così come le persone all’interno dell’impero romano erano cittadine con dei doveri e dei privilegi, allo stesso modo i cristiani sono cittadini di un Regno e devono comportarsi di conseguenza.
Domanda: secondo voi quali sono gli aspetti dei filippesi che Paolo vuole riprendere e spronare?
Paolo sembra fare riferimento a tre sfide della chiesa di Filippi:
- L’unità
- Gli avversari
- La sofferenza
L’unità
Il primo aspetto sul quale si dirige Paolo è l’unità della chiesa. Egli desiderava che i filippesi rimanessero fermi in uno stesso spirito, combattendo insieme con un medesimo animo. In una frase Paolo mette insieme stesso, insieme e medesimo. Questa unità è innanzitutto incentrata sulla fede del vangelo. Questa fede va difesa, perché sono tanti gli avversari. Il verbo per combattimento veniva usato per la guerra o per l’arena, dove i gladiatori combattevano per rimanere in vita, questa è l’urgenza che dovremmo avere ben presente e che dovrebbe portarci a essere un team coeso, unito. Un po’ come la testuggine romana, la famosa formazione di fanteria dell’esercito romano, che richiedeva notevole coordinamento collettivo e notevole unità per poter funzionare ma che quando funzionava era letale per i nemici, spesso più numerosi.
Questa unità sembra che fosse messa in pericolo da due elementi. Ma a prescindere da quali questi elementi fossero, come chiesa possiamo prendere spunto dalle parole di Paolo e affrontare le nostre sfide in unità, avendo il Vangelo di Cristo al centro della nostra famiglia e come scopo la fede del vangelo, ovvero il “contenuto oggettivo della loro testimonianza”, quello che è veramente vangelo, attorno al quale unirsi e combattere. La nostra vuole essere “una chiesa che vive il vangelo nel cuore di Pisa,” è dobbiamo capire cosa è questo vangelo in modo da poterlo vivere e difendere.
Gli avversari
Il primo elemento di pericolo sembra venire da degli avversari. Ci sono vari modo di interpretare questo termine, ma credo che Paolo non stesse facendo riferimento in modo particolare a degli avversari esterni, ma a degli avversari interni alla chiesa. Questi avversari avevano distorto la natura del vangelo, proclamando che quanto portava alla salvezza, come la sofferenza, era in realtà sintomo di perdizione. Questi avversari sembrano essere interni alla chiesa, un po’ come quelli di cui abbiamo parlato la volta scorsa, infatti al versetto 30 Paolo traccia una linea tra il soffrire della chiesa di Filippi e la sua personale sofferenza. Se è vero che gli avversari, Paolo li liquida dicendo “per nulla spaventati dagli avversari.” Gli avversari possono dire delle cose che hanno l’apparenza di religiosità e giustizia, che sembrano logiche. Ma se queste affermazioni non sono conformi alla Bibbia, se non sono in linea con il vangelo di cui parlavamo poco fa, sono da rifiutare e combattere.
La sofferenza
La sofferenza è infine il terzo elemento che viene fuori da questi versetti. Una sofferenza che è “da parte di Dio” (28). Questa sofferenza è addirittura una grazia (29) che è stata concessa da Dio. Sembra assurdo: un Dio buono, amorevole e onnipotente, quindi con la possibilità di compiere ogni miracolo e di liberare da ogni situazione di oppressione (spirituale, fisica, emotiva, relazionale) non solo permette che i suoi figli affrontino la sofferenza ma addirittura afferma che questa è una grazia concessa. Ma come una grazia? La grazia è il perdono dei peccati, la grazia è ricevere l’adozione da parte di Dio Padre, la grazia è ricevere ciò che non meritiamo. Ma la grazia è anche sofferenza, per quanto possa suonare strano. Vorrei approfondire un pochettino questo punto, per capire in che modo la sofferenza delle nostre vite ha uno scopo in Dio.
Innanzitutto, spesso in questi casi si parla di sofferenze a causa del Vangelo. E quindi non di sofferenza causate dal nostro agire sbagliato. Se stiamo sbagliando qualcosa, dobbiamo cambiare. E la sofferenza di cui parla Paolo è qualcosa che fa parte del nostro percorso come cristiani e di cui si parla spesso nella Bibbia, perché è qualcosa che è spesso presente nella vita di noi esseri umani.
Voglio leggervi due testi, uno di Paolo e uno di Pietro
7 Ma noi abbiamo questo tesoro in vasi di terra, affinché questa grande potenza sia attribuita a Dio e non a noi. 8 Noi siamo tribolati in ogni maniera, ma non ridotti all’estremo; perplessi, ma non disperati; 9 perseguitati, ma non abbandonati; atterrati, ma non uccisi; 10 portiamo sempre nel nostro corpo la morte di Gesù[a], perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo; 11 infatti, noi che viviamo siamo sempre esposti alla morte per amore di Gesù, affinché anche la vita di Gesù si manifesti nella nostra carne mortale. (2 Corinzi 4:7-11)
12 Carissimi, non vi stupite per l’incendio che divampa in mezzo a voi per provarvi, come se vi accadesse qualcosa di strano. 13 Anzi, rallegratevi in quanto partecipate alle sofferenze di Cristo, perché anche al momento della rivelazione della sua gloria possiate rallegrarvi ed esultare. (1 Pietro 4:12-13)
La sofferenza, oltre a ricordarci di confidare in Dio in ogni momento, esalta la potenza di Dio, esalta la fedeltà di Dio nei confronti dei suoi, e infine esalta la vera nostra vita, che non è incentrata sulle sofferenze di questo mondo ma sulla vita eterna che abbiamo in Gesù. La nostra sofferenza ha come scopo la glorificazione eterna in Cristo. E se è vero che la sofferenza ci accomuna con tutti gli esseri viventi, è anche vero che la sofferenza in Cristo ci separa dagli altri, ci consola in un modo che solo Dio può offrire.
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