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Luca 19,11-28 -le mine- (Stefano Molino)- solo testo

La parabola delle 10 mine

11 Mentre essi ascoltavano queste cose, Gesù aggiunse una parabola, perché era vicino a Gerusalemme ed essi credevano che il regno di Dio stesse per manifestarsi immediatamente

12 Disse dunque: «Un uomo nobile se ne andò in un paese lontano per ricevere l’investitura di un regno e poi tornare. 13 Chiamati a sé dieci suoi servi, diede loro dieci mine e disse loro: “Fatele fruttare fino al mio ritorno”. 

14 Or i suoi concittadini l’odiavano e gli mandarono dietro degli ambasciatori per dire: “Non vogliamo che costui regni su di noi”. 15 Quando egli fu tornato, dopo aver ricevuto l’investitura del regno, fece venire quei servi ai quali aveva consegnato il denaro, per sapere quanto ognuno avesse guadagnato mettendolo a frutto. 

16 Si presentò il primo e disse: “Signore, la tua mina ne ha fruttate altre dieci”. 17 Il re gli disse: “Va bene, servo buono; poiché sei stato fedele nelle minime cose, abbi potere su dieci città”. 18 Poi venne il secondo, dicendo: “La tua mina, Signore, ha fruttato cinque mine”. 19 Egli disse anche a questo: “E tu sii a capo di cinque città”. 20 Poi ne venne un altro che disse: “Signore, ecco la tua mina che ho tenuta nascosta in un fazzoletto, 21 perché ho avuto paura di te che sei uomo duro; tu prendi quello che non hai depositato, e mieti quello che non hai seminato”. 

22 Il re gli disse: “Dalle tue parole ti giudicherò, servo malvagio! Tu sapevi che io sono un uomo duro, che prendo quello che non ho depositato e mieto quello che non ho seminato; 23 perché non hai messo il mio denaro in banca, e io, al mio ritorno, lo avrei riscosso con l’interesse?” 

24 Poi disse a coloro che erano presenti: “Toglietegli la mina e datela a colui che ha dieci mine”. 25 Essi gli dissero: “Signore, egli ha dieci mine!” 

26 “Io vi dico che a chiunque ha sarà dato; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha. 27 E quei miei nemici che non volevano che io regnassi su di loro, conduceteli qui e uccideteli in mia presenza”».

 

Per poter capire bene il senso di questa parabola, che parla di mine, unità di misura utilizzate poi anche come soldi, è importante vedere da cosa è preceduta e da cosa è seguita. La storia della conversione di Zaccheo, un tale che con i soldi aveva qualche problema, è appena stata raccontata.

Segue la descrizione dell’ingresso di Gesù a Gerusalemme, e appena dopo segue l’episodio della purificazione del tempio, altra storia in cui i soldi contano.

Il tema dei soldi è quindi ampiamente presente, e non è facile capire cosa significhi: sembra che vengano lodate persone che speculano sui soldi, cosa che viene vietato dall’antico testamento. I famigerati banchieri sembrano diventare dei modelli di vita, e si fa fatica a capire chi sia questo re che punisce spietatamente i suoi sudditi inoperosi.

La stessa parabola è narrata da Matteo, ma lì si parla di un signore che non poi così cattivo, e quindi si fa presto a vederci Dio. Accanto a questo ci sono dei riferimenti a luoghi e persone che sono ugualmente importanti.

Gesù si sta avvicinando a Gerusalemme e questo crea delle aspettative importanti nei discepoli. Vediamo dunque di capire che rapporto c’è tra questi investimenti in denaro e le aspettative dei discepoli rispetto alla città santa. 

 

Le aspettative

Il motivo per cui Gesù racconta questa parabola è esplicitato: si stavano avvicinando a Gerusalemmme e questo faceva pensare ai discepoli che “il regno di Dio dovesse manifestarsi da un momento all’altro”. I significati di questo avvicinamento a Gerusalemme sono molto diversi per Gesù e per i discepoli: per Gesù significa andare a morire e significa anche che il suo ministero sulla terra finirà.

Per i discepoli invece permane la credenza che Gerusalemme sarà un arrivo glorioso, la restaurazione del regno di Davide, in cui il messia – Gesù – caccerà via i romani che occupano Israele e farà giustizia al suo popolo. Intorno a Gerusalemme e al regno ci sono grosse aspettative da parte di entrambi e questa parabola serve a chiarificarle.

La parabola che Gesù racconta presenta dei riferimenti precisi che ebrei di quel tempo capivano bene:

in quel momento era re Archelao, figlio di Erode il Grande che dalla morte del padre regna sulla Giudea. Archelao in effetti dopo essere stato acclamato re dal suo esercito partì per Roma per ottenere il titolo regale da Augusto, in un palazzo ancora visibile oggi a Roma, e poi  tornare ufficialmente.

Una delegazione di 50 giudei si recò a Roma per protestare, perché era effettivamente poco amato da tutti i cittadini. Gesù non ha esplicitato i nomi, ma il riferimento è piuttosto chiaro.

Che uso fare quindi di questa parabola? Che rapporto ha con le aspettative dei discepoli rispetto all’avvento immediato di un regno di giustizia, pace e liberazione dai romani?

 

  1. Rivedere le aspettative.

Un primo messaggio piuttosto importante riguarda la situazione politica e le aspettative che da questa si potrebbero sviluppare: non aspettatevi troppo in termini politici da questo arrivo a Gerusalemme…

Come il personaggio della parabola, l’insopportabile Archelao è tornato da Roma e ha continuato a regnare nonostante l’ostilità del popolo. è possibilissimo e di fatto succede che le aspettative che hanno vengano drasticamente tradite.

Si aspettano che la situazione politica cambi improvvisamente, che i romani vengano espulsi, eppure non sarà così.

Il regno verrà, ma in ben altre forme.

Gesù sa che quei discepoli lo hanno ricevuto come messia.

Ora devono concentrarsi su COME aspettare e vivere nel regno, e non sul QUANDO arriverà la sua realizzazione piena.

È un messaggio che spinge anche noi a rivedere certe aspettative o certe convinzioni che abbiamo rispetto al futuro, rispetto ai nostri progetti, che spesso più che piani divini sono aspirazioni umane.

Era legittimo sperare che Gerusalemme sarebbe stata liberata, ma non è era quello il piano di Dio, che voleva trasmettere ai discepoli l’idea che esiste una liberazione più alta di quella della Gerusalemme reale.

Forse anche a noi capita di farci delle aspettative supportate da numerosi elementi spirituali che in realtà non sono il riflesso dei piani di Dio, ma solo nostre pur legittime aspettative.

Ci capita di sognare che la nostra chiesa cresca sempre, che diventi estremamente solida e fonte di benedizione per tanti. Eppure spesso non è così.

Mi viene in mento un caro amico che ha studiato con me teologia ed aveva intrapreso quegli studi per diventare pastore.

L’unione di chiese di cui faceva parte prevedeva degli stage dopo la laurea, e in entrambi gli stages da lui svolti fallì. Dopo 4 anni di studio non diventò pastore.

Oggi scrive su una rivista cristiana che tratta temi di attualità in Svizzera ed è molto contento. Come i discepoli ha dovuto rivedere la sua Gerusalemme, non ha visto la realizzazione piena dei suoi sogni, ma è rimasto un fedele servitore del regno.

Gesù prepara i discepoli: le cose non si realizzeranno nel mondo in cui ve le aspettate, nondimeno il regno avanzerà. 

 

  1. Ricevere e dare

Nel vangelo di Matteo c’è una parabola molto simile, quella dei Talenti, ma le differenze tra le due sono tali da far pensare che potrebbero essere state proprio due storie diverse con messaggi diversi. È infatti assente in Matteo la figura del re contestato che invece è presente qui. Simile però la parte relativa a questi valori assegnati ai diversi servitori.

Dei dieci servitori a cui sono state date le mine – misure di peso ebraiche che avevano un controvalore in soldi – ne vengono interpellati tre. I primi due vengono premiati per aver fatto fruttare le mine, mentre il terzo viene redarguito per averla sotterrata e non averne tratto niente.

Dopo la sgridata viene anche privato del poco che ha. Eviterei di perdermi nel cercare di capire cosa significhi che il primo  ed il secondo servo avranno “potere sopra 10 o 5 città”; mi sembra un premio simbolico che viene menzionato per sottolineare che hanno fatto bene ad investire.

La parte più lunga della parabola si attarda sul servo che ha agito male e questo credo debba interessarci. Perché questa punizione così dura?

Vediamo qui chiaramente un’accusa di Gesù contro i suoi concittadini e in questo caso dalla durezza della storia del re severo si può trarre un messaggio di giudizio.

Chi più di Israele ha ricevuto valori, da parte di Dio? Scritture, opere potenti, liberazioni, personaggi straordinari come Abramo, Isacco, Giacobbe, Mosè e il resto della lunga schiera dei testimoni della fede che hanno dato insegnamento ed identità al popolo? Ma cosa stanno facendo davanti a Gesù con tutto ciò? È servito loro per acclamare e riconoscere il messia?

Ad alcuni di loro, come i due primi servitori, sì.

Ad altri come il terzo, molto simile ai cittadini che hanno disconosciuto il re, no. Si devono aspettare quindi che aver buttato le perle ai porci non può non avere delle conseguenze.

Di contro i due primi servitori ben rappresentano tutta quella parte del popolo che acclamerà l’arrivo di Gesù a Gerusalemme, avendo riconosciuto in lui il messia e il figlio di Dio.

Cosa hai ricevuto?

Dobbiamo chiederci cosa facciamo di tutte le ricchezze di cui, dopo 2000 anni di storia del popolo di Dio, siamo stati colmati.

Pensiamo, dal semplice punto di vista materiale, alla facilità di accesso che abbiamo alla Bibbia, come libro, in formato cartaceo, elettronico, su internet, dove vogliamo!

E con essa a tutti i libri che in pochissimo tempo possiamo consultare per essere arricchiti e crescere nella fede. Non sono semplice lettura ma riflessione sulla fede.

Spesso ci si preoccupa di sapere che fine farà chi non ha sentito dire niente del Vangelo. Questa parabola non ci dice niente riguardo a questo, ma sembra preoccupata di farci sapere che il problema è piuttosto in chi ha avuto tante opportunità e non le ha sfruttate, perché farà un brutta fine: perché gli sarà tolto anche il poco che ha.

Cosa facciamo di tutto ciò che abbiamo visto, sentito ed avuto, da parte di Dio?

Tra le cose ricevute ci sono anche i soldi. Non sono considerate un male assoluto da nascondere e tenere lontano, ma un mezzo con cui glorificare Dio.

Quindi anche con questi possiamo e dobbiamo imparare a sostenere il regno, a fare vivere le chiese, le missioni e tutti coloro che per questo regno di danno da fare.

 

Può non piacerci, ma il Dio di amore a cui ci riferiamo è anche un Dio esigente che non ama sprecare, e questa parabola sottolinea il suo carattere rigoroso.

Si tratta di una parabola che non condensa la totalità di ciò che Dio è, ma il suo carattere contiene anche questo: chi sprezza le ricchezze del Signore ne riceve un giudizio.

Non trascuriamo quindi quanto abbiamo ricevuto perché seppellire o nascondere quelle ricchezze è un errore per noi e per gli altri.

Al contempo ricerchiamo la benedizione che deriva dal ben amministrare come hanno fatto i due primi servitori.

 

  1. Le motivazioni

C’è qualcosa di particolare in ciò che dice l’ultimo servo. 

Non si può dire che sia egoista, perché non ha tenuto il denaro per sé e per i suoi comodi. Si può dire invece che è  timoroso. Dei tre è l’unico a giustificare il motivo della sua passività.

I primi due servitori non dicono niente del re e del suo carattere. Hanno obbedito e sembrano fiduciosi nel re.

Il terzo invece ci dice che è duro, che miete dove non ha seminato e lo ritrae come un re cattivo. Ma potrebbe essere una sua pura immaginazione, o una distorsione di una qualità del re, che forse era semplicemente rigoroso e intraprendente.

Se ha agito in modo passivo probabilmente è per l’immagine del re che si è costruito, e bloccato dalla paura non fa un bel niente. Il re non nega di essere tale, ma specifica che proprio per quelle caratteristiche il servo avrebbe dovuto sentirsi stimolato ad agire.

Il nostro modo di relazionarci a Dio dipende dall’idea che ce ne siamo fatti.

È vero che ad una prima lettura si fa fatica ad identificare il re di questa parabola in Dio, vista la brutalità.

Potrebbe invece darsi che l’immagine negativa la ricaviamo solo dalle parole del servo e che in fondo si tratta di un re che ben rappresenta quel Dio che ha dato tanto, ma che chiederà anche conto di ciò che ha dato.

È molto importante quindi chiederci: in che modo ci rivolgiamo a Dio? Che idea abbiamo di lui? Quello che facciamo per lui – investire, dormire in piedi – dipende molto dall’idea che ne abbiamo.

I primi due servitori ne hanno un’idea sana, e condividono l’importanza dell’amministrazione del regno.

Vivono secondo un’etica della responsabilità, non hanno avuto promesse, ma hanno ricevuto ricompense, Il terzo non fa niente, ha paura del giudizio perché non conosce Dio.

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