Matteo 27: 27-54| Una missione Cruciforme #2| Michel Di Feliciantonio

Continuiamo la nostra serie natalizia.Come avete potuto vedere la serie si chiama “nato con una missione.”  Abbiamo visto insieme la scorsa volta che la missione è lo scopo dell’incarnazione, della vita di Gesù. E deve diventare, come ordinato dal grande Mandato di Matteo 28, lo scopo della nostra vita come credenti.

Quindi vi domando: come è andata questa settimana? C’è qualcuno che vuole raccontare un episodio, una chiacchierata o anche solo una sfida che ha incontrato mentre cercava di fare discepoli in famiglia, dove si studia o lavora, dove passate il tempo libero, o anche online?

 

A me in questa settimana mi ha incoraggiato notare come servire e aiutare in dei ministeri ci aiuta nel nostro essere missionari, dandoci opportunità di parlare di Gesù. Nel nostro caso, per esempio, aiutare con le lezioni del corso di italiano ci permette di parlare di Gesù a tante persone che ancora non lo conoscono. Sono situazioni, queste, nelle quali non ci dobbiamo sforzare di creare un’occasione per condividere il Vangelo perché le persone si aspettano che noi lo facciamo e sono desiderose di sentire.

 

Continuiamo ad andare a ritroso nel Vangelo di Matteo. Cosa succede dopo, o prima, la resurrezione e il grande mandato? Ovviamente dopo c’è la crocifissione e la morte di Gesù. E quindi andando a ritroso e avendo stabilito che la missione è lo scopo della vita di Gesù e anche la nostra missione, è importante notare come è la missione che Gesù ci ha affidato.

 

Cosa caratterizza la missione di Gesù? Che forma ha la missione di Gesù?

 

è incredibile come i discepoli di Gesù, che pure avevano visto e sentito Gesù quotidianamente, avessero così difficoltà ad interpretare la missione di Gesù.

 

Vi ricordate che ad un certo punto Gesù annuncia ai suoi discepoli che avrebbe dovuto soffrire, morire e poi resuscitare, giusto? Come risponde Pietro?

 

Matteo 16:22 Pietro, trattolo da parte, cominciò a rimproverarlo, dicendo: «Dio non voglia, Signore! Questo non ti avverrà mai». 23 Ma egli, voltatosi, disse a Pietro: «Vattene via da me, Satana! Tu mi sei di scandalo. Tu non hai il senso delle cose di Dio, ma delle cose degli uomini».

 

La missione di Gesù era cruciforme, ovvero a forma di croce. Questa cosa per i discepoli, almeno inizialmente, era assurda. E spesso lo è anche per noi. Ci esaltiamo quando vediamo storie di successo, quando vediamo persone famose e ricche che postano un versetto perché “forse allora sono diventate cristiane” e non saremo più percepiti come degli sfigati. Ci esaltiamo quando vediamo storie di successo cristiano.

 

Ma la vita di Gesù da un punto di vista umano non è mai stato di successo. Senza soldi, senza risorse, senza mezzi, senza uffici, senza palazzi. Un seguito di persone composta da emarginati, rifiuti della società, falliti, falsi, bugiardi e così via. Ma questo è nulla rispetto all’apice della vita di Gesù: la morte su una croce romana.

 

La missione di Cristo è stata segnata dalla croce, modellata dalla croce. La sua missione è stata cruciforme e la nostra missione deve essere cruciforme. Andiamo allora a vedere insieme cosa succede alla croce.

 

Leggiamo insieme da Matteo 27.

 

Matteo 27:27 Allora i soldati del governatore portarono Gesù nel pretorio e radunarono attorno a lui tutta la coorte. 28 E, spogliatolo, gli misero addosso un manto scarlatto; 29 intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero una canna nella mano destra e, inginocchiandosi davanti a lui, lo schernivano, dicendo: «Salve, re dei Giudei!» 30 E gli sputavano addosso, prendevano la canna e gli percuotevano il capo. 31 E, dopo averlo schernito, lo spogliarono del manto e lo rivestirono dei suoi abiti; poi lo condussero via per crocifiggerlo.

 

32 Mentre uscivano, trovarono un uomo di Cirene, chiamato Simone, e lo costrinsero a portare la croce di Gesù. 33 E giunti a un luogo detto Golgota, che vuol dire «luogo del teschio», 34 gli diedero da bere del vino mescolato con fiele; ma Gesù, assaggiatolo, non volle berne.

 

35 Poi, dopo averlo crocifisso, spartirono i suoi vestiti tirando a sorte; 36 e, postisi a sedere, gli facevano la guardia. 37 Al di sopra del capo gli posero scritto il motivo della condanna: «Questo è Gesù, il re dei Giudei».

 

38 Allora furono crocifissi con lui due ladroni, uno a destra e l’altro a sinistra.

 

39 E quelli che passavano di là lo ingiuriavano, scuotendo il capo e dicendo: 40 «Tu che distruggi il tempio e in tre giorni lo ricostruisci, salva te stesso! Se tu sei Figlio di Dio, scendi giù dalla croce!» 41 Così pure, i capi dei sacerdoti con gli scribi e gli anziani, beffandosi, dicevano: 42 «Ha salvato altri e non può salvare se stesso! È il re d’Israele; scenda ora giù dalla croce, e noi crederemo in lui. 43 Si è confidato in Dio: lo liberi ora, se lo gradisce, poiché ha detto: “Sono Figlio di Dio”». 44 E nello stesso modo lo insultavano anche i ladroni crocifissi con lui.

 

Derisione ed insulti

Cosa vi colpisce di questa storia? La mia mente automaticamente va alla sofferenza fisica, che è parte di quello che sta succedendo. Penso a Gesù flagellato, penso al sangue che esce dalle sue ferite, penso alla ruvida croce che sfrega sul corpo martoriato di Gesù, penso ai chiodi nelle mani, alla difficoltà a respirare.

 

In realtà la descrizione della sofferenza fisica è limitata al minimo da Matteo:

  • 30 i soldati percuotono il capo di Gesù con la canna
  • 35, e poi “dopo averlo crocifisso”. Sembra quasi una descrizione en passant, di sfuggita

 

La sofferenza fisica è parte di quello che sta succedendo. Matteo invece sembra prestare molta più attenzione, nello scrivere, alla derisione e agli insulti subiti da Gesù:

  • vv 27-31 per prima cosa centinaia di soldati si riuniscono attorno a Gesù, gli mettono addosso un manto, una corona di spine e si inginocchiano davanti a lui deridendolo al grido di “Salve re dei Giudei”. Poi gli sputano addosso e continuano a schernirlo prima di spogliarlo e rivestirlo con i sui abiti
  • 35 i soldati giocano ai dadi i vestiti di Gesù subito dopo averlo crocifisso e poi fanno la guardia, sedendosi, evidentemente non erano troppo preoccupati che Gesù potesse fare qualcosa e lo sfidano sedendosi a terra
  • 37 sulla croce viene messa l’insegna provocatrice: Gesù, re dei Giudei
  • 39 addirittura anche quelli che passavano di lì, connazionali di Gesù, lo prendevano in giro e inveivano contro Gesù
  • 44 addirittura anche i ladroni, che stavano per morire insieme a Gesù, lo insultavano


 La sofferenza fisica e la morte è sicuramente parte della missione cruciforme. Ma non è tutto. E sicuramente l’essere derisi, insultati, sbeffeggiati è una parte della missione cruciforme più comune nel nostro contesto occidentale dove non si viene perseguitati fisicamente a causa della propria fede.

 

L’essere derisi ed insultati fa parte della missione. E mi ha colpito riflettere sull’autore di questo Vangelo, Matteo il levita, ex esattore delle tasse. Quante volte era stato preso in giro, quante volte era stato insultato, quante volte le persone gli avranno sputato addosso per essersi venduto. Ma non da parte di Gesù. Anzi, Gesù lo aveva accolto, lo aveva accettato, lo aveva perdonato, aveva mangiato con lui, era divenutato suo amico.

 

E ora Matteo descrive Gesù, che viene deriso ed insultato, non avendo fatto niente di male. Lo vede accettare queste offese senza scomporsi, senza offendersi, senza tirarsi indietro dalla missione. 

 

Spesso abbiamo paura della missione perché abbiamo paura di essere derisi ed insultati. è una paura che ci accompagna sempre. Ancora oggi evito a volte di riprendere qualcuno o dire qualcosa riguardo a Gesù per paura di essere deriso. Quante volte abbiamo taciuto di fronte ad un famigliare, un amico, un collega, un vicino di casa per paura di essere derisi?

 

Gesù però ci mostra che essere derisi, insultati, non capito è parte della missione. Lui stesso è stato deriso ed insultato al posto nostro. Ma noi, come Matteo, siamo entrati a far parte della famiglia di Cristo. La gioia, il perdono, l’amore, la speranza che proviamo non ci vengono di certo dati dalle persone attorno a noi, ma da Cristo Gesù. La nostra identità è radicata nel fatto di essere accettati da Cristo, che non ci deride mai, non ci insulta mai e grazie a questo abbiamo la forza di condividere questo bellissimo messaggio, anche a costo di essere a volte derisi ed insultati.

Sofferenza

Derisione, insulti fanno parte della missione cruciforme. E che la missione sia cruciforme ce lo mostra anche Simone di Cirene, che ci ricorda anche che la missione prevede sofferenza.

 

Gesù, immediatamente dopo aver sgridato Pietro, definisce così cosa vuol dire seguirlo:

Matteo 16:24…Se uno vuol venire dietro a me, rinunci a se stesso, prenda la sua croce e mi segua.

 

Ed ora, mentre Gesù è in cammino verso il Golgota, succede questo:

32 Mentre uscivano, trovarono un uomo di Cirene, chiamato Simone, e lo costrinsero a portare la croce di Gesù.

 

La missione cruciforme consiste nel prendere la croce e seguire Cristo. Ad un certo punto Gesù è così stremato da non riuscire più a portare la croce. E solo un uomo può affermare di aver portato anche la croce di Cristo, Simone di Cirene. Ora, non sappiamo quasi nulla di questo Simone di Cirene. Cirene era una città nordafricana e il nome Simone può indicare sia un ebreo che un greco. Il Vangelo di Marco dice che Simone era il padre di Alessandro e Rufo, nomi che compaiono anche negli Atti e in Romani, quindi è possibile che questo Simone e la sua famiglia abbiano creduto in Cristo, anche se non è assolutamente provato.

 

Una volta ho sentito un’intera predicazione su Simone di Cirene, mentre io non vorrei speculare troppo. Prendo però per me questa immagine di Simone, che, non sappiamo se controvoglia o con gioia, prende la croce di Cristo.

 

Commentando la figura di Simone, Piper afferma quanto segue:

Portare la croce dietro a Gesù è un’immagine bella e dolorosa della nostra chiamata come discepoli…

La chiamata a soffrire per Gesù è spesso improvvisa, costosa e apparentemente casuale…

Non scegliamo sempre il momento della nostra sofferenza. Ci piomba addosso in modi inaspettati, in modi spaventosi, pesanti, dolorosi, apparentemente casuali.[1]

 

Non possiamo scegliere il momento della sofferenza, ma possiamo scegliere di fissare lo sguardo su Gesù nel momento della sofferenza, prendere la croce e seguirlo.

 

 

45 Dall’ora sesta si fecero tenebre su tutto il paese, fino all’ora nona. 46 E, verso l’ora nona, Gesù gridò a gran voce: «Elì, Elì, lamà sabactàni?», cioè: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» 47 Alcuni dei presenti, udito ciò, dicevano: «Costui chiama Elia». 48 E subito uno di loro corse a prendere una spugna e, inzuppatala di aceto, la pose in cima a una canna e gli diede da bere. 49 Ma gli altri dicevano: «Lascia, vediamo se Elia viene a salvarlo».

 

50 E Gesù, avendo di nuovo gridato con gran voce, rese lo spirito.

Abbandono e morte

La missione cruciforme di Gesù passa per la derisione, la sofferenza ed infine l’abbandono e la morte. Dopo essere stato abbandonato dai suoi amici e dai suoi discepoli, Gesù subisce anche l’abbandono più tremendo: quello di Dio Padre.  Immaginate la sofferenza di questo momento.

 

Dio Padre che deve giudicare il suo unigenito Figlio, non a causa dei suoi peccati, ma a casa dei peccati dell’umanità che sono stati messi addosso a Gesù. Dio Padre, da sempre in una perfetta unione d’amore e di armonia con il Padre, che condanna il Figlio.

 

Dio Figlio, da sempre perfettamente beato, che non sente più l’approvazione del Padre, ma il giudizio del Padre. Tutto questo al posto nostro, in modo che noi non dovessimo più sperimentarlo.

 

Se hai creduto in Gesù, se stai seguendo la sua missione cruciforme, potrai essere deriso, potrai soffrire, ma non sarai mai abbandonato. Cristo è stato abbandonato al posto nostro, giudicato al posto nostro in modo che noi possiamo godere della presenza di Dio tutti i giorni della nostra vita. (Matteo 28).

 

E non solo non sarai abbandonato, non sarai più nemmeno giudicato o punito da Dio. Non devi più temere la morte, non devi più temere il giudizio, non devi più temere le ripercussioni del peccato.

 

E quindi ti voglio dire: se ti senti abbandonato, se ti senti giudicato da Dio per il tuo peccato, per i tuoi sbagli, per i tuoi errori passati o presenti, sappi che è una menzogna. Dio ha già giudicato e abbandonato il suo unigenito Figlio a causa del tuo peccato.

 

51 Ed ecco, la cortina del tempio si squarciò in due, da cima a fondo, la terra tremò, le rocce si schiantarono, 52 le tombe s’aprirono e molti corpi dei santi, che dormivano, risuscitarono; 53 e, usciti dai sepolcri dopo la risurrezione di lui, entrarono nella città santa e apparvero a molti.

 

54 Il centurione e quelli che con lui facevano la guardia a Gesù, visto il terremoto e le cose avvenute, furono presi da grande spavento e dissero: «Veramente costui era Figlio di Dio».

Una nuova realtà missionaria

La morte di Gesù, la croce di Gesù, il momento di massima umiliazione, derisione, sofferenza diventa l’inizio di qualcosa di nuovo. La divisione tra Dio e il popolo è spezzata, come la cortina del tempio.  La morte è sconfitta. I morti resuscitano e diventano testimoni di questa nuova realtà, una realtà missionaria.

 

Il centurione, avendo viste tutte queste cose, afferma: costui era veramente il Figlio di Dio.

 

Che la nostra missione cruciforme, i momenti in cui saremo disposti a prenderci qualche insulto, i momenti in cui saremo chiamati a soffrire, possano portare altri a riconoscere che Gesù è il Figlio di Dio. Che lui è il salvatore, che lui è il Signore.

Non rincorriamo il successo, ma perseguiamo la missione cruciforme. Seguiamo l’esempio di Gesù in modo che tanti, come il centurione, possano dire: veramente Gesù è il Figlio di Dio, colui che offre perdono, protezione, salvezza, speranza.

 

 

[1] https://www.desiringgod.org/interviews/whats-the-significance-of-simon-carrying-jesuss-cross

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