Un altro anno scolastico è finito. Un altro anno di scuola, di lavoro, di impegni. Stiamo entrando nel pieno dell’estate, molti di noi si prenderanno un pò di ferie, per staccare, per ricaricarsi, per poi riprendere dopo le vacanze: vecchi impegni e nuovi progetti, solite sfide e nuovi imprevisti, consolidate tradizioni e novità, paure e sogni.
Ma c’è un senso in tutto questo? Che senso ha vivere la vita e affaticarsi? Cosa rimane di tutto quello che facciamo? Per alcuni le vacanze stesse sono un periodo di scoraggiamento o frustrante. A volte tornare nelle nostre famiglie o nei luoghi dove siamo cresciuti non è facile e ricadiamo in vecchi pattern sbagliati. A volte riprendere la vita di tutti i giorni è fonte di sconforto e depressione.
C’è un salmo che vuole rispondere a tutto questo. Domenica scorsa abbiamo guardato la preghiera di Daniele 9, una preghiera composta da tre elementi: lode, confessione e richiesta. Dovremmo ora proseguire con Daniele 10, ma visto che Daniele 10-12 contengono una sola visione che Daniele riceve, ho pensato che sia meglio aspettare la fine dell’estate e non spezzare questi 3 capitoli con la pausa estiva.
Guarderemo quindi oggi un salmo, il salmo 90. I salmi come sapete sono una raccolta di preghiere, inni, canti, poesie e il salmo 90 è una preghiera, la preghiera di Mosè, il grande condottiero del popolo di Israele. Mosè viene descritto come uomo di Dio, ovvero un profeta di Dio. Inoltre il salmo 90 è il primo salmo del quarto libro dei salmi. I salmi, infatti, sono divisi in 5 libri, 5 sezioni. Ogni sezione ha delle sue peculiarità.
Notate, mentre leggiamo questa preghiera, come ritroviamo anche qui elementi di lode, confessione e richiesta. La preghiera, inoltre, nonostante sia stata scritta da Mosè è una preghiera corporale, fatta al plurale.
Il Signore, il punto fermo
90:1 Preghiera di Mosè, uomo di Dio. Signore, tu sei stato per noi un rifugio d’età in età.
2 Prima che i monti fossero nati e che tu avessi formato la terra e l’universo, anzi, da eternità in eternità, tu sei Dio.
La preghiera di Mosè inizia con il Signore. Il Signore è stato il rifugio per il suo popolo in ogni istante della storia. Ma questo Signore è molto più grande della storia del popolo di Israele. Egli infatti è Dio da prima dell’inizio della storia della terra e dell’universo.
Questi primi due versetti sono il punto di partenza. Un punto fermo: il Signore è Dio, il Dio eterno, il Dio creatore, il Dio rifugio. Mi è sembrato un bel modo di approcciare il Signore e di dialogare con lui riguardo ai nostri dubbi o alle nostre frustrazioni. Il Signore è il punto fermo. Dopo aver fissato questo punto, si può discutere tutto il resto.
L’eternità del Signore e nostra transitorietà
3 Tu fai ritornare i mortali in polvere, dicendo: «Ritornate, figli degli uomini».
4 Perché mille anni sono ai tuoi occhi come il giorno di ieri che è passato, come un turno di guardia di notte.
5 Tu li porti via come in una piena; sono come un sogno. Sono come l’erba che verdeggia la mattina; 6 la mattina essa fiorisce e verdeggia, la sera è falciata e inaridisce.
Il Dio di Mosè è il creatore della vita. Ed è lui che stabilisce la durata della vita ed è lui che fa tornare ad essere polvere. Sono versetti, questi, che sottolineano la fugacità, la transitorietà della vita. Ci piace pensare che siamo in controllo del tempo che abbiamo a disposizione su questa terra e che il tempo che abbiamo è abbondante. Ma se siamo onesti con noi stessi capiamo facilmente che non è così. Anzi, quando riflettiamo con onestà sulla nostra esistenza capiamo bene che il tempo che abbiamo scorre via velocemente e che la morte è una realtà che incombe, incontrollabile, sulla nostra vita.
Noi, dice il salmista, siamo nelle mani di un Dio eterno, un Dio per il quale 1000 anni, un millennio, sono come una giornata. Questo Dio eterno stabilisce cosa ne sarà della nostra vita. Noi non abbiamo il controllo su di essa: noi siamo come un oggetto in balia di un fiume in piena, siamo come un sogno che viene bruscamente interrotto. L’altro giorno leggevo la notizia di un ragazzino, di soli 19 anni, caduto durante una gara di ciclismo e morte a causa della botta. Immaginate com’è stato in questi giorni per gli altri ciclisti gareggiare. Sono ragazzi super allenati, nel pieno della vita, con tanti tifosi, che si sentono fortissimi, che si sentono grandi eppure fragili e transitori, come tutti noi.
Siamo come l’erba, che si staglia verdeggiante e ottimista alla luce del sole, che pensa di essere forte, ma che poi viene falciata dal contadino e diventa secca e arida.
Dio è eterno. Noi siamo nelle sue mani, e siamo transitori.
L’ira del Signore e il nostro orgoglio
7 Poiché siamo consumati per la tua ira e siamo atterriti per il tuo sdegno.
8 Tu metti le nostre colpe davanti a te e i nostri peccati nascosti alla luce del tuo volto.
9 Tutti i nostri giorni svaniscono per la tua ira; finiamo i nostri anni come un soffio.
10 I giorni dei nostri anni arrivano a settant’anni, o, per i più forti, a ottant’anni; e quel che ne fa l’orgoglio, non è che travaglio e vanità; perché passa presto, e noi ce ne voliamo via.
11 Chi conosce la forza della tua ira e il tuo sdegno con il timore che ti è dovuto?
La differenza tra noi e Dio non è soltanto legata alla durata della nostra esistenza. C’è anche un altro aspetto da considerare. Dio è giusto e perfetto. Noi non lo siamo. E il giudizio che Dio ha per noi non è positivo: ira e sdegno. Possiamo vivere la nostra vita ignorando la nostra natura peccaminosa, possiamo vivere le nostre brevi esistenze sperando nel meglio. Ma è una scommessa che si rivelerà costosissima: v.8 Tu metti le nostre colpe davanti a te e i nostri peccati nascosti alla luce del tuo volto.
Quello che facciamo di sbagliato non passa inosservato al Signore, la sua luce penetra e rivela ogni nostra azione, ogni nostro pensiero, ogni nostro desiderio sbagliato. Quando viviamo la vita cercando di fare del nostro meglio, quando cerchiamo di viverla facendo affidamento sulle nostre forze non facciamo altro che vivere una vita veniale, una vita che svanirà di fronte all’ira del Signore.
Possiamo anche vivere una vita lunga. Alcuni possono arrivare a 70 anni, altri a 80. Al giorno d’oggi anche a cento anni. Ma poi? Versetto 10: quel che ne fa l’orgoglio, non è che travaglio e vanità; perché passa presto, e noi ce ne voliamo via. O, una traduzione più letterale: 10 I giorni dei nostri anni arrivano a settant’anni, o, per i più forti, a ottant’anni; “e tuttavia il loro vanto è solo fatica e dolore, perché viene presto tagliato e noi voliamo via”
La parola tradotta con orgoglio, o vanto, è la parola ebraica רֹהָב (rohab) ed è l’unica volta che viene usata in tutto l’antico testamento. Il dizionario definisce così questa parola:
Radicato nella più ampia famiglia semantica che indica la boria, l’arroganza o la forza gonfiata, il sostantivo indica la fiducia in se stessi che caratterizza il meglio del vigore umano, ma una fiducia che è fugace di fronte al Dio eterno.[1]
In altre parole, anche una lunga vita, una lunga di successo, di forza, di vittorie agli occhi degli uomini, non è che un attimo di orgoglio di fronte al Signore.
La risposta alla domanda “che senso ha?” è: non ha alcun senso. Se viviamo le nostre vite, le nostre famiglie, i nostri lavori, la nostra chiesa cercando solamente di fare qualcosa di buono grazie alle nostre forze, non ha alcun senso. è tutto travaglio e vanità. Che sono esattamente la parole dell’Ecclesiaste, “Vanitas vanitatum et omnia vanitas”, ovvero “vanità delle vanità, tutto è vanità”. Ascoltate l’inizio del discorso dell’ecclesiaste, dal 1 capitolo.
Ecclesiaste 1:2 «Vanità delle vanità», dice l’Ecclesiaste, «vanità delle vanità, tutto è vanità».
3 Che profitto ha l’uomo di tutta la fatica che sostiene sotto il sole? 4 Una generazione se ne va, un’altra viene, e la terra sussiste per sempre. 5 Anche il sole sorge, poi tramonta, e si affretta verso il luogo da cui sorgerà di nuovo. 6 Il vento soffia verso il mezzogiorno, poi gira verso settentrione; va girando, girando continuamente, per ricominciare gli stessi giri. 7 Tutti i fiumi corrono al mare, eppure il mare non si riempie; al luogo dove i fiumi si dirigono, continuano a dirigersi sempre. 8 Ogni cosa è in travaglio, più di quanto l’uomo possa dire; l’occhio non si sazia mai di vedere e l’orecchio non è mai stanco di udire. 9 Ciò che è stato è quel che sarà; ciò che si è fatto è quel che si farà. Non c’è nulla di nuovo sotto il sole. 10 C’è forse qualcosa di cui si possa dire: «Guarda, questo è nuovo?» Quella cosa esisteva già nei secoli che ci hanno preceduto. 11 Non rimane memoria delle cose d’altri tempi; così di quanto succederà in seguito non rimarrà memoria fra quelli che verranno più tardi.
Non ha alcun senso. Se stai vivendo la tua vita facendo affidamento su te stesso, allora stai vivendo una vita effimera, che non ha alcun peso. Una vita basata sul nostro orgoglio.
Stai vivendo la tua vita così? Sei disposto ad accettare le conseguenze di questa vita?
La chiave di volta
12 Insegnaci dunque a contare bene i nostri giorni, per acquistare un cuore saggio.
Meno male che Mosè, forse anche preso dallo scoraggiamento della vita che stava conducendo, forse sconfortato a causa del popolo dal collo duro che doveva guidare non si è limitato a riflettere amaramente sulla brevità e fugacità della vita. Ma è andato avanti e ci ha dato questo bellissimo versetto: 12 Insegnaci dunque a contare bene i nostri giorni, per acquistare un cuore saggio.
Il discorso dell’Ecclesiaste si conclude in maniera simile. Ecclesiaste 12:15 Ascoltiamo dunque la conclusione di tutto il discorso: «Temi Dio e osserva i suoi comandamenti, perché questo è il tutto per l’uomo».
Mosè sa bene che la soluzione, la chiave di volta sta nel Signore. E, probabilmente, lo sai anche tu. Sei disposto ad andare al Signore, sei disposto a lasciarti guidare da lui, sei disposto ad apprendere da lui in modo da contare bene i tuoi giorni, e viverlo con un cuore saggio, un cuore in sintonia con il Signore?
Un’opera resa stabile dalla grazia
13 Ritorna, Signore; fino a quando? Muoviti a pietà dei tuoi servi.
14 Saziaci al mattino della tua grazia e noi esulteremo, gioiremo tutti i nostri giorni.
15 Rallegraci in proporzione dei giorni che ci hai afflitti e degli anni che abbiamo sofferto tribolazione.
16 Si manifesti la tua opera ai tuoi servi e la tua gloria ai loro figli.
17 La grazia del Signore nostro Dio sia sopra di noi, e rendi stabile l’opera delle nostre mani;
sì, l’opera delle nostre mani rendila stabile.
Mosè nello sconforto va dal Signore. Il popolo di Israele che legge questo salmo durante l’esilio, va dal Signore. E lo invocano. Gli chiedono di intervenire, di mostrarsi, di essere pietoso, di riempirli della sua grazia, dare un senso alla vita, alla frustrazione, all’afflizione.
Solo quando cerchiamo il Signore, solo quando la sua grazia, il suo amore, la sua fedeltà al suo patto ci riempie come un fiume, quando il vangelo di Dio ci da la giusta prospettiva possiamo esultare e gioire, tutti i giorni della nostra vita. Possiamo gioire quando siamo presi dallo sconforto causato da una vita che sembra senso.
Immaginate Gesù che prega questo salmo. Magari è in un momento difficile del ministero. Magari i suoi discepoli non se la stanno cavando bene. Oppure sta per essere consegnato ai soldati per poi essere crocifisso. Immaginalo mentre prega il versetto 16:
16 Si manifesti la tua opera ai tuoi servi e la tua gloria ai loro figli.
Cosa stava pregando Gesù? Gesù stava pregando che la gloria e il piano di Dio si manifestasse agli uomini attraverso la sua morte, attraverso la sua croce. Lui doveva morire, e attraverso la sua morte noi abbiamo visto l’opera e la gloria di Dio. Il senso della vita di Cristo era nella sua morte, in modo che la nostra vita potesse avere un senso.
Pensando alla grazia che abbiamo in Cristo, pensando al senso che la nostra vita acquista quando Gesù diventa il nostro Signore, la nostra luce, la nostra guida, capiamo che l’opera del Signore si è rivelata e che la sua grazia si è manifestata. Coloro che oggi pregano questo salmo non devono più farlo in attesa dell’incarnazione di Cristo, ma dopo la venuta di Cristo e in attesa del suo ritorno.
E quindi insieme possiamo concludere pregando il versetto 17:
17 La grazia (o il favore) del Signore nostro Dio sia sopra di noi, e rendi stabile l’opera delle nostre mani; sì, l’opera delle nostre mani rendila stabile.
Se la grazia, il favore, di Dio è sopra di noi, se permettiamo alla grazia di Dio di abbattere il nostro orgoglio, se ci concentriamo sul Vangelo la nostra opera sarà stabile. La nostra vità avrà un senso. Anche quando siamo in vacanza. Anche quando torniamo a casa. Anche quando riprendiamo a lavorare. Anche quando siamo sconfortati. Anche quando tutto quello che facciamo sembra inutile e vano.
Perchè? Perchè guidati dalla grazia di Dio non cercheremo la gloria personale, non ci affaticheremo pensando a come poter diventare più famosi o più importanti, che sono tutte cose che passano. Ma ci concentreremo sull’opera salvifica del Regno di Dio. Avrete sicuramente notato che l’opera che Mosè vuol rendere stabile non è la sua opera, o l’opera di un singolo, ma l’opera collettiva del popolo di Dio. E il Signore ha fatto proprio questo: ha utilizzato il popolo d’Israele come strumento per portare avanti il suo piano redentore, e continua a farlo oggi con il suo popolo, la chiesa.
Quello che facciamo, guidati dalla grazia di Dio, ha senso, anche quando non sembra.
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