Amare diventando il prossimo – Luca 10:25-42

Omar Di Felice è un ultraciclista, ovvero una persona che di professione va in bici e lo fa su distanze estreme. Tra le varie cose, Omar Di Felice ha percorso, il Canada Artico, 1300 km, in pieno inverno, è arrivato in bici fino al campo base sull’Everest, ha attraversato il deserto del Gobi in Mongolia ( oltre 2270 km complessivi e 17 giorni in sella) sempre in inverno, e nell’ultimo inverno ha percorso oltre 4000 km dalla Russia alla Groenlandia passando per il Polo Nord e sempre del tutto solo.

La cosa che più spaventa Omar non è il freddo, non sono gli animali selvatici, non sono i problemi meccanici, ma le macchine e le moto che tante volte hanno messo a repentaglio la sua vita.
Qualche giorno fa, mentre si trovava sulle alpi, è successa questa cosa (video).

La cosa incredibile è che il motociclista, una volta alzatosi, ha anche provato ad accusare Omar.

Voi cosa avreste fatto al posto di Omar? Avreste soccorso una persona che ha rischiato seriamente di uccidervi con la sua superficialità?

Dopo il viaggio missionario dei 70 discepoli, troviamo due episodi molto famosi della Bibbia. Due episodi che in genere vengono trattati e predicati separatamente, ma che secondo me sono collegati da una domanda di fondo, ed è la domanda che un dottore della legge un giorno fa a Gesù: che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?

Dentro di noi c’è questa nozione primordiale di una vita eterna, di qualcosa che va oltre questa vita e la domanda è ovvia: cosa devo fare per avere accesso ad una vita eterna, una vita bella per l’eternità?

Luca 10:25 Ed ecco, un dottore della legge si alzò per metterlo alla prova, dicendo: «Maestro, che devo fare per ereditare la vita eterna?» 26 Gesù gli disse: «Nella legge che cosa sta scritto?
Come leggi?» 27 Egli rispose: «Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta l’anima tua, con tutta la forza tua, con tutta la mente tua, e il tuo prossimo come te stesso». 28 Gesù gli disse:
«Hai risposto esattamente; fa’ questo e vivrai». 29 Ma egli, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è il mio prossimo?» 30 Gesù rispose: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e s’imbatté nei briganti, che lo spogliarono, lo ferirono e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. 31 Per caso un sacerdote scendeva per quella stessa strada, ma quando lo vide, passò oltre dal lato opposto. 32 Così pure un Levita, quando giunse in quel luogo e lo vide, passò oltre dal lato opposto. 33 Ma un Samaritano, che era in viaggio, giunse presso di lui e, vedendolo, ne ebbe pietà; 34 avvicinatosi, fasciò le sue piaghe versandovi sopra olio e vino, poi lo mise sulla propria cavalcatura, lo condusse a una locanda e si prese cura di lui. 35 Il giorno dopo [, prima di partire], presi due denari, li diede all’oste e [gli] disse: “Prenditi cura di lui; e tutto ciò che spenderai di più, te lo rimborserò al mio ritorno”. 36 Quale di questi tre ti pare essere stato il prossimo di colui che s’imbatté nei ladroni?» 37 Quegli rispose: «Colui che gli usò misericordia». Gesù gli disse:
«Va’, e fa’ anche tu la stessa cosa».

Amare diventando il prossimo

Questa storia raccontata da parte di Gesù è molto famosa e ha influenzato anche la nostra lingua, al punto che una persona che fa il samaritano o il buon samaritano è una persona che è generosa, buona e caritatevole. La parabola, che è il genere letterario che Gesù usa per raccontare la storia, non viene fuori dal nulla ma è raccontata in risposta ad un uomo, un dottore della legge, che appunto rivolge questa domanda a Gesù: cosa devo fare per ereditare la vita eterna.

Il dottore della legge era una persona probabilmente erudita, accademica, studiosa, che conosceva bene la Legge, i libri della Torah, il testamento degli ebrei. è probabile anche che questo dottore della legge volesse mettere in difficoltà Gesù, anche se poteva anche semplicemente essere interessato all’opinione di Gesù su questa tematica così importante. Gesù risponde al dottore della legge partendo dall’ambito di competenza del dottore: ovvero la legge di Dio. Cosa diceva Dio a riguardo?

Ed effettivamente il dottore della legge risponde nel modo giusto, nel modo in cui tanti rabbini avrebbero risposto: «Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta l’anima tua, con tutta la forza tua, con tutta la mente tua, e il tuo prossimo come te stesso»

Ed è proprio la risposta esatta, al punto che Gesù stesso non ha niente da aggiungere se non: OK, ora vai e metti in pratica quello che hai capito. Fai quello che hai capito, e avrai la vita eterna.
Letteralmente Gesù dice, fai questo e vivrai. Fine della questione. Vita eterna sbloccata!

Ma, purtroppo, a volte la comprensione mentale non equivale a delle azioni pratiche consequenziali, a delle azioni che sono il frutto diretto della comprensione razionale.

Il dottore della legge aveva capito cosa diceva la Bibbia, ma non voleva mettere in pratica ciò che aveva capito. In particolare non voleva amare il prossimo. Va bene amare Dio. Tanto Dio è sempre buono, tanto Dio non mi scoccia, tanto Dio non mi disturba, tanto Dio è lontano. Ma amare il prossimo? Chi è il prossimo?

Ed è a questo punto che Gesù racconta la parabola. Ricordo brevemente che la parabola è una breve storia, con elementi realistici, che in genere presenta una o poche verità centrali. Per questo motivo non bisogna cercare di interpretare ogni singolo elemento, come ad esempio hanno fatto alcuni padri della chiesa dicendo che il samaritano è Gesù, l’oste è Paolo, la locanda la chiesa, etc etc…

La parabola è semplice e sarebbe stata immediatamente compresa dagli uditori originari. Ma anche oggi è facilmente comprensibile. Un pisano viene picchiato e derubato in zona stazione di Pisa. Io sto andando in stazione dopo un incontro di chiesa, mi accorgo di questo uomo mezzo nudo e sanguinante ma faccio finta di niente perchè ho troppe cose da fare. Passi tu, mentre torni a casa dopo il nostro incontro di chiesa, ma per paura prendi un’altra strada pur di non doverti avvicinarti a questo uomo. E poi passa un livornese, acerrimo nemico dei pisano. Un ragazzo che è stato ad una cena con degli amici dove si è bevuto assai e tra una battuta e l’altra si sono dette tante bestemmie. Proprio questo livornese, mentre cammina un po ‘barcollando verso la stazione, vede il pisano sanguinante e viene mosso a compassione. Si ferma, chiama il pronto soccorso, lo accompagna all’ospedale e una volta che è stato dimesso dall’ospedale lo accompagna nel miglior hotel di Pisa, gli paga la notte, gli lascia il suo cellulare per chiamare i propri famigliari.

Chiaro, no? Il samaritano era, sulla carta, il nemico dell’uomo picchiato e derubato. Eppure lui, e non i religiosi, si sacrifica per aiutarlo.

Quello che mi ha colpito è la domanda finale di Gesù al dottore della legge. Il dottore della legga aveva chiesto a Gesù: chi è il mio prossimo? Gesù avrebbe potuto dire: il tuo prossimo è l’uomo picchiato e derubato. Invece Gesù fa una domanda diverse:

Quale di questi tre ti pare essere stato il prossimo di colui che s’imbatté nei ladroni?»

Tre uomini avevano visto l’uomo sul ciglio della strada. Due avevano fatto finta di niente, il terzo, il samaritano, è colui che ha pietà di questo uomo e decide di fare qualcosa. Infatti, ancora una volta, il dottore della legge risponde bene.

37 Quegli [quindi] rispose: «Colui che gli usò misericordia».

La domanda non è tanto chi è il mio prossimo, ma sarò io il prossimo della persone che mi è accanto, della persona nel bisogno. Si passa da una situazione di passività, nella quale ci si concentra sull’oggetto/la persona che deve essere amato, ad una di attività, nella quale il soggetto, io, decide se amare oppure no. Il samaritano si fa prossimo dell’uomo bisognoso, il sacerdote e il levita non diventano prossimi all’uomo bisognoso. Il mio prossimo non deve fare niente per essere meritevole della mia scelta, sono io che devo scegliere di amare il prossimo, come ha fatto il samaritano con l’uomo derubato e come spero abbia fatto Omar, il ciclista, col motociclista che ha rischiato di ucciderlo.

Come si eredita la vita eterna? Amando Dio e amando il prossimo. La nostra teologia, la nostra comprensione logica di Dio, non deve diventare un blocco, un limite, per il nostro amore verso di lui e verso il prossimo, come nel caso del dottore della legge.

Alcuni di noi hanno paura di un cristianesimo teologicamente robusto che coinvolge solo la mente perché abbiamo sperimentato la fredda mancanza di amore di coloro che preferiscono discutere più che adorare e dibattere più che gioire. Ci ritiriamo in modo naturale da coloro che usano la teologia come un’arma. I cristiani che sono in grado di esporre le dottrine della grazia che però mancano di grazia—che comprendono le sfumature della giustificazione ma le cui vite mancano di gioia—sono, nella migliore delle ipotesi, disorientanti. Nella peggiore, possono provocare gravi danni ai loro fratelli e alle loro sorelle in Cristo.1

Il nostro è un Dio di amore, che ha sacrificato il suo unico Figlio per noi. Gesù è diventano il nostro prossimo, facendosi uomo e portando il nostro peccato sulla croce. Di conseguenza anche noi dobbiamo amare Dio e amare il prossimo. Divento il prossimo di chi è nel bisogno, anche quando è diverso da me, anche quando costa tanto amare praticamente? Di chi ti sta chiedendo il Signore di diventare il prossimo? Prendi un attimo per rispondere a questa domanda. Gesù mi ha amato in maniera sacrificale, in maniera misericordiosa, con tanta pietà. E ora ci dice

«Va’, e fa’ anche tu la stessa cosa».

Ascoltare le parole di Gesù
Come mi diceva un mio amico qualche giorno fa, è incredibile come sia bilanciata ed equilibrata la Parola di Dio. Si perché dopo aver parlato di come l’amore si manifesta in azioni pratiche, abbiamo questo episodio:

38 Mentre erano in cammino, Gesù entrò in un villaggio; e una donna, di nome Marta, lo ospitò [in casa sua]. 39 Marta aveva una sorella chiamata Maria, la quale, sedutasi ai piedi del Signore[n], ascoltava la sua parola. 40 Ma Marta, tutta presa dalle faccende domestiche, venne e disse:
«Signore, non ti importa che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti». 41 Ma il Signore le rispose: «Marta, Marta, tu ti affanni e sei agitata per molte cose, ma una cosa sola è necessaria. 42 Maria ha scelto la parte buona che non le sarà tolta».

I due episodi non sembrano avere molto in comune, ad una prima lettura. Ma forse c’è qualcosa che li lega insieme. Per molti amare il prossimo, diventare il prossimo che ama è difficile. Ma per altri il problema diventa amare troppo. Mi spiego meglio.

Servire il prossimo, aiutare il prossimo, può diventare un idolo che ci distrae dal Signore. è questo il problema di Marta. Marta aveva una casa, e vuole usare questa casa per ospitare Gesù, per prendersi cura di un uomo che deve essere stato stanco. Marta aveva deciso, giustamente, di diventare il prossimo di Gesù, di sacrificare il suo tempo, le sue risorse, il suo cibo, i suoi spazi per il Signore. Ma questo tipo di servizio non l’aveva avvicinata al Signore, ma anzi l’aveva portata ad essere affannata ed agitata.

Questo ci porta a farci una domanda importante, una domanda per testare il nostro servizio: quando serviamo, siamo affannati e agitati? Allora forse qualcosa, nel nostro servizio, non sta andando. Forse ho perso di vista la parte buona, la parte che aveva scelto Maria.

L’impegno sociale, l’aiuto verso il prossimo, i ministeri di integrazione, recupero, aiuto sono tutti importanti e la chiesa deve essere in primo piano in questo tipo di lavoro. Ma quando si perde di vista Gesù e la Sua Parola, diventano puro attivismo, in nulla diverso rispetto a quello che offrono i governi o delle associazioni laiche. Dobbiamo stare attenti, perchè questa è un pericolo e una tentazione sempre possibile per la chiesa. Prendete per esempio la chiesa Valdese. Non so se tutti lo sanno, ma il movimento Valdese è nato come movimento fortemente radicato nella Parola, con una dottrina sana. Ma, nel tempo, la dottrina si è annacquata e ha dato spazio a teorie liberali
non-bibliche accompagnate da un lodevole, ma a volte fine a se stesso, impegno sociale.

Lo stesso è successo con il cosiddetto vangelo sociale, un movimento nel quale al centro non c’è la salvezza di Dio per il peccatore ma questioni importanti ma comunque secondarie come la disuguaglianza economica, la povertà, l’alcolismo, la criminalità, le tensioni razziali, le baraccopoli, l’incuria ambientale, il lavoro infantile, i sindacati inadeguati, le scuole povere e il pericolo di guerra.

Ma, in maniera ancora più concreta e pratica, noi corriamo questo rischio quando la nostra ospitalità magari per i nostri amici non credenti, quando le nostre buone azioni per la società, non vanno a braccetto con la centralità di Cristo e del suo messaggio.

Maria (una donna, 2000 anni fa) era una discepola di Gesù, era legata a Gesù. Non era pigra, ma era convinta che la cosa migliore che potesse fare era stare ai piedi di Gesù, come gli altri discepoli, e ascoltare le parole di Dio. Senza la Parola di Dio, senza la centralità di Gesù, diventiamo agitati, iniziamo a pensare che siamo noi a dover risolvere ogni problema, e iniziamo a rimpiazzare Gesù, la comunione con lui, l’intimità del nostro rapporto con lui, i suoi insegnamenti, i suoi comandamenti, la sua Parola con altre cose.

Il dottore della legge aveva chiesto: come si eredita la vita eterna? E Gesù aveva risposto: cosa dice la Bibbia? Cosa dice Dio? Segui ciò che Dio ha comandato.

Come si eredita la vita eterna? Ovviamente avendo fede in Gesù. E la fede senza amore per Dio non è fede. E la fede e l’amore per Dio si dimostrano con l’amore verso il prossimo. Non con delle riflessioni teologiche ed accademiche sterili, bensì scegliendo di sacrificarsi diventando il prossimo di chi ci è attorno. E al tempo stesso questo amore per Dio e per il prossimo e continuamente vivificato e incanalato nella giusta direzione da Cristo e dalla sua Parola. Non amiamo con le nostre forze o con le nostre capacità, perché altrimenti smetteremo di amare, diventeremo stanchi e agitati. Ma amiamo con l’amore di Dio in noi, l’amore di Dio per noi.

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