Come trovare conforto nell’ingiustizia – Luca 18:1-14

Quando ero bambino si andava a scuola con lo scuolabus. Lo scuolabus era un microcosmo, una piccola rappresentazione della società. C’erano bambini e bambine, bambini più grandi e bambini più piccoli, bambini introversi ed estroversi, più simpatici e meno simpatici, più intelligenti e meno intelligenti. E c’erano ovviamente anche dei bambini che prendevano in giro altri bambini, oggi si direbbe bullismo.

 

 

Una volta mi hanno preso in giro perché avevo i capelli rossi. A queste prese in giro ho risposto dicendo che l’avrei raccontato a mia madre e che il giorno dopo sarebbe venuta a sgridarli sullo scuolabus. Tornato a casa ho raccontato quanto fosse successo a mia madre ma con mio grande stupore mia madre non è venuta il giorno dopo sullo scuolabus a riprendere questi bambini.

Quello è stato in un certo senso una delle prime volte che ho sperimentato l’ingiustizia, e la frustrazione nel vedere l’ingiustizia che non viene condannata e punita. Come diversi salmisti di fronte all’ingiustizia avrei potuto gridare al Signore, “fino a quando?”. E quante volte nelle nostre vite abbiamo avuto e abbiamo momenti simili. Fino a quando saremo testimoni o vittime di ingiustizie?

Ma perchè io ero convinto che mia madre sarebbe venuta sullo scuolabus?  Perché era già successo che un altro bambino era stato preso in giro e il giorno seguente la mamma era venuta per fare una lavata di capo ai bulli.

Che belli i momenti in cui la giustizia viene ripristinata, i momenti in cui il trasgressore viene ripreso e il povero che ha subito una ingiustizia viene difeso e ripristinato.

Nel testo di oggi troveremo una parabola, la parabola della vedova e del giudice. Prima di leggerla insieme, qualcuno si ricorda cosa voleva insegnare Gesù, per quale motivo racconta questa parabola?

1 Propose loro una parabola per mostrare che dovevano pregare sempre e non stancarsi.

Gesù non insegna questa parabola per mostrare che i discepoli non dovevano stancarsi di pregare, ma che dovevano pregare e non stancarsi, non essere appesantiti, non essere scoraggiati, letteralmente in greco è una parola composta da due parti,  “interiormente cattivo” e “da e verso” – ovvero, essere influenzato negativamente come risultato della stanchezza interiore.

Se vi ricordate abbiamo concluso il capitolo 17 del Vangelo di Luca riflettendo sulla realtà del Regno di Dio. Cristo Gesù si manifesta incarnandosi e con la sua venuta inaugura il Regno di Dio sulla terra. Un passaggio cruciale per l’adempimento del Regno di Dio è l’incoronazione di Gesù sulla croce.

La pienezza del Regno di Dio sarà però manifestata al ritorno di Cristo, che coinciderà con il giudizio nei confronti di coloro che saranno trovati ribelli a Dio, un po come successo ai tempi di Noè e di Lot.

 

A questo punto Luca riporta, come abbiamo detto, la parabola del giudice iniquo e della vedova insistente. Una parabola che si inserisce bene in questi insegnamenti sugli ultimi tempi.

 

Luca 18:1 Propose loro una parabola per mostrare che dovevano pregare sempre e non stancarsi: 2 «In una certa città vi era un giudice, che non temeva Dio e non aveva rispetto per nessuno; 3 e in quella città vi era una vedova, la quale andava da lui e diceva: “Rendimi giustizia sul mio avversario”.

4 Egli per qualche tempo non volle farlo; ma poi disse fra sé: “Benché io non tema Dio e non abbia rispetto per nessuno, 5 pure, poiché questa vedova continua a importunarmi, le renderò giustizia, perché, venendo a insistere, non finisca per rompermi la testa”».

6 Il Signore disse: «Ascoltate quel che dice il giudice ingiusto. 7 Dio non renderà dunque giustizia ai suoi eletti che giorno e notte gridano a lui? Tarderà nei loro confronti?[b] 8 Io vi dico che renderà giustizia con prontezza. Ma quando il Figlio dell’uomo verrà, troverà la fede sulla terra?»

 

Preghiamo sempre

La parabola è breve e, penso, chiara. Da una parte abbiamo un uomo in una posizione di potere. Dall’altra una donna, peraltro vedova. Sono due personaggi agli antipodi: una persona con tutti i privilegi di questo mondo, l’altra invece emblema dei deboli, degli oppressi, dei poveri. La donna, avendo subito un’ingiustizia, si rivolge al giudice.

Il giudice purtroppo è poco interessato a svolgere in modo corretto il suo mestiere. Non teme Dio, non ha rispetto per gli esseri umani e non ha alcun interesse a fare giustizia nei confronti della donna. Eppure la donna non si dà per vinta, e continua a rivolgersi al giudice per ricevere ciò che le è dovuto.

Ovviamente la parabola serve per darci un’idea, un esempio. Il giudice e la donna sono esempi imperfetti. Ma l’insegnamento chiaro è che noi, come la donna, non dovremmo darci per vinti di fronte alle ingiustizie. Qual è la soluzione? Prendere in mano la situazione? Chiedere alla mamma di venire sullo scuolabus? No, o perlomeno non è quello che questo brano specifico vuole insegnare.

Gesù racconta questa parabola per ricordarci che dobbiamo pregare sempre. Ci sono tante cose per le quali pregare ma qual è il tema specifico di questa preghiera? La soluzione è pregare al giudice supremo, il Signore, il giudice giusto, che ha a cuore la sorte dei suoi figli.

La giustizia. Vediamo tutto intorno a noi che la giustizia di Dio non viene rispettata, anzi viene disprezzata e ignorata, proprio come faceva il giudice della parabola. Come credenti veniamo perseguitati in vari posti del mondo in maniera forte.

Sul sito di Porte Aperte ho trovato questa notizia, per esempio

Domenica 15 gennaio, nel mezzo della celebrazione della funzione religiosa, un ordigno è esploso all’interno della chiesa pentecostale di Kasindi, nella Repubblica Democratica del Congo, provocando 17 morti e decine di feriti.

Secondo Reuters, l’attacco è stato rivendicato dallo Stato Islamico, al quale dal 2019 sono affiliate le Forze Democratiche Alleate (ADF). Nato come gruppo ribelle islamico in Uganda, dalla fine degli anni ’90 ADF agisce anche nella Repubblica Democratica del Congo ed è sospettato di essere l’autore di diversi attacchi ai villaggi cristiani del nord-est del Paese, prendendo di mira in modo particolare i leader di chiesa.

Immaginate cosa voglia dire rischiare la vita solo perchè ci si vuole incontare come chiesa.

In altre zone, come in Italia, i credenti subiscono ingiustizie in maniera più velata, spesso a livello intellettuale, accademico, politico e culturale.

Le verità assolute, per esempio, sono sempre più ridicolizzate e ostracizzate. Affermare che Gesù è l’unica Via, l’unica Verità e l’unica vera Vita è sempre più difficile. Non ho sperimentato forme di ingiustizie violente, ma quando parlo di queste cose a volte le persone mi guardano come se fossi pazzo.

Cosa fare di fronte a queste situazioni? Possiamo sentirci scoraggiati. Possiamo sentirci incompresi, dimenticati, sfruttati, abusati, ignorati, stanchi perché le cose sembrano sempre andare così. Ma noi dovremmo, piuttosto, rispondere in preghiera.

Secondo voi in che modo, come dovremmo pregare di fronte all’ingiustizia, soprattutto l’ingiustizia subita a causa del nome di Gesù? Per cosa dovremmo pregare?

La domanda “fino a quando?” è presente in tutta la Bibbia e questo è fondamentale per noi, perché ci aiuta a capire come pregare al Signore.

Tanti salmi, tante preghiere dei profeti, il libro di Lamentazioni, ci guidano magistralmente nella preghiera a Dio. Prendo ad esempio un solo salmo, il salmo 13:

Salmo 13: Fino a quando, o Signore, mi dimenticherai?
Sarà forse per sempre?
Fino a quando mi nasconderai il tuo volto?
2 Fino a quando avrò l’ansia nell’anima
e l’affanno nel cuore tutto il giorno?
Fino a quando s’innalzerà il nemico su di me?
3 Guarda, rispondimi, o Signore, mio Dio!
Illumina i miei occhi
perché io non mi addormenti del sonno della morte,
4 affinché il mio nemico non dica: «L’ho vinto!»
e non esultino i miei avversari se io vacillo.
5 Quanto a me, io confido nella tua bontà;
il mio cuore gioirà per la tua salvezza;
io canterò al Signore perché m’ha fatto del bene.

Non abbattiamoci

Preghiamo, insistiamo di fronte al tribunale supremo, di fronte al giudice dell’universo. è se addirittura il giudice al quale non importava niente della vedova ha ceduto, non pensate che anche il nostro Dio non renderà giustizia al suo popolo?

Credo che questo insegnamento sia bellissimo e molto pratico, si applica alla nostra vita di tutti i giorni. Ci porta a non scoraggiarci, a non stancarci, a non abbatterci. Dio non ci ha dimenticato e Dio non tarderà sicuramente nel rendere giustizia a chi ha subito ingiustizie.

Da una parte ci siamo noi, che possiamo e dobbiamo gridare a Dio giorno e notte, dall’altra parte c’è il nostro caro Padre celeste, che ascolta i suoi figli, che ascolta i suoi eletti, coloro che gli appartengono, coloro che sono scritti nel Libro della vita, coloro per i quali Cristo Gesù è morto e risorto.

Se preghiamo, non ci risponderà? Se siamo scoraggiati, se siamo abbattuti, lottiamo per fede, in preghiera! Come dicevamo mercoledì durante lo studio, “l’opera di Dio è fondata sulla fede.” Fede che Gesù sta tornando, fede che giustizia sarà fatta, fede che i tempi di Dio non sono mai sbagliati, fede che Dio non è mai in ritardo.

Come ho detto all’inizio, Gesù ci lascia questa parabola perché vuole incoraggiarci e confortarci. Dio non ha risparmiato suo Figlio, di sicuro non si dimenticherà di noi.

E mentre noi preghiamo su questa terra, mi incoraggia sapere che il nostro grido non è isolato. Il nostro grido, la nostra preghiera si unisce a quella di quelli che sono venuti prima di noi, che hanno sofferto prima di noi a causa del Vangelo.

Apocalisse 6:9 Quando l’Agnello aprì il quinto sigillo, vidi sotto l’altare le anime di quelli che erano stati uccisi per la parola di Dio e per la testimonianza che avevano resa. 10 Essi gridarono a gran voce: «Fino a quando aspetterai, o Signore santo e veritiero, per fare giustizia e vendicare il nostro sangue su quelli che abitano sulla la terra?» 11 E a ciascuno di essi fu data una veste bianca e fu loro detto che si riposassero ancora un po’ di tempo, finché fosse completo il numero dei loro compagni di servizio e dei loro fratelli, che dovevano essere uccisi come loro.

Il Signore ascolta tutte queste preghiere.

Il film del Signore degli Anelli inizia con l’arrivo di Gandalf nella contea. Ad aspettarlo c’è un impaziente Frodo Baggins, che gli dice “Sei in ritardo.” Frodo non vedeva l’ora che arrivasse Gandalf e quindi gli sembrava che fosse in ritardo. Potremmo prendere le parole di Gandalf e applicarle al Signore:

“Uno stregone non è mai in ritardo, Frodo Baggins. Né in anticipo. Arriva precisamente quando intende farlo.”

Il Signore non sta tardando, né tantomeno sta arrivando in anticipo. Il Signore sta aspettando il momento perfetto per tornare e rispondere, in maniera definitiva, alle nostre preghiere. Noi siamo certi che la giustizia di Dio è per noi, è per i suoi figli, è per coloro che in fede si rivolgono a lui.

Giusti o giustificati?

Questo però non deve portarci ad inorgoglirci. Non deve portarci a pensare che abbiamo conquistato noi la giustizia. Continuiamo con la lettura del Vangelo di Luca.

9 Disse ancora questa parabola per certuni che erano persuasi di essere giusti e disprezzavano gli altri: 10 «Due uomini salirono al tempio per pregare; uno era fariseo e l’altro pubblicano. 11 Il fariseo, stando in piedi, pregava così dentro di sé: “O Dio, ti ringrazio che io non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri; neppure come questo pubblicano.

12 Io digiuno due volte la settimana, pago la decima su tutto quello che possiedo”. 13 Ma il pubblicano se ne stava a distanza e non osava neppure alzare gli occhi al cielo; ma si batteva il petto, dicendo: “O Dio, abbi pietà di me, peccatore!”

14 Io vi dico che questo tornò a casa sua giustificato, piuttosto che quello; perché chiunque s’innalza sarà abbassato, ma chi si abbassa sarà innalzato».

Il tema è ancora la giustizia. Ma si passa dall’ingiustizia subita e per la quale si chiede conto, al sentirsi giusti, giusti di fronte a Dio e giusti, migliori, rispetto agli altri uomini.

La parabola che Gesù usa riprende anche il tema della preghiera. Perché anche le cose buone, che fanno piacere a Dio, possono essere usate male, possono essere usate pensando che contribuiscano in qualche modo alla nostra giustizia e giustificazione, alla nostra salvezza.

Le azioni del fariseo che prega nel tempio sono encomiabili. Non era adultero, non era ingiusto, non era ladro. Quante volte commettiamo uno di questi peccati? Inoltre digiunava due volte a settimana e donava al tempio una percentuale di tutto quello che aveva. Quando è stata l’ultima volta che hai digiunato? Sei costante e meticoloso nel donare alla chiesa? Sicuramente c’è da prendere esempio dalle azioni di questo uomo.

Quello che invece è da condannare è il cuore del fariseo. Il fariseo pensa di aver conquistato, meritato la giustizia. Il fariseo pensa, riprendendo le parole di Gesù al versetto 9, di essere giusto. Giusto era un aggettivo che pensava di poter aggiungere alla propria vita: ebreo, giudeo, fariseo, onorevole, rispettoso, giusto. Quali sono gli aggettivi che usi per sentirti giusto?

L’altro uomo della parabola, che se ne sta in disparte, è un pubblicano, un esattore delle tasse. Giusto non è certo l’aggettivo che usa per descriversi. Le sue azioni lo condannano. L’aggettivo che lui usa per descriversi è: peccatore.

Peccatore, un termine che racchiude tutto il resto: ladro, corrotto, traditore, sporco. Questo uomo sa bene che non può fare niente per tramutare il peccato in giustizia, sa che non può conquistarsi il titolo di giusto con le proprie azioni.

E quindi nella sua preghiera si rivolge con umiltà al Signore, non sulla base dei suoi meriti, ma sulla base dei suoi misfatti, dei suoi errori, della sua vergogna e invoca pietà. Ed è proprio nei confronti di queste persone che Dio interviene. sono proprio queste persone che Dio salva per mezzo di Cristo Gesù.

L’aggettivo che ci appartiene, l’etichetta che ci contraddistingue è: peccatore. Non abbiamo niente in noi che possa cambiare questa cosa. E il nemico ce lo ricorda in continuazione.

Ma la salvezza di Dio cambia ogni cosa. Gesù afferma che il pubblicano, il peccatore che aveva riconosciuto di essere peccatore, se ne torna a casa giustificato, reso giusto. Il testo di oggi non ci dice che il pubblicano se ne va a casa giusto, non usa un aggettivo, ma usa un verbo al passivo: giustificato, reso giusto.

Sappiamo che questo tipo di giustificazione è resa possibile da Gesù, l’unico veramente giusto, il quale prende il nostro posto, il nostro peccato in modo che in cambio a noi possa essere attribuita la sua giustizia.

Se guardiamo a Cristo per fede torniamo a casa giustificati questa sera. E, avendo ricevuto la sua giustizia e la sua giustificazione, siamo disposti anche a subire ingiustizie a causa di Cristo, ingiustizie per le quali preghiamo e per le quali non ci scoraggiamo.

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