Emozioni davanti alla croce Luca 23, 27-43 (Stefano Molino)

Emozioni davanti alla croce

Luca 23, 27-43

 

26 Mentre lo portavano via, presero un certo Simone, di Cirene, che veniva dalla campagna, e gli misero addosso la croce perché la portasse dietro a Gesù.
27 Lo seguiva una gran folla di popolo e di donne che facevano cordoglio e lamento per lui. 28 Ma Gesù, voltatosi verso di loro, disse: «Figlie di Gerusalemme, non piangete per me, ma piangete per voi stesse e per i vostri figli. 29 Perché, ecco, i giorni vengono nei quali si dirà: “Beate le sterili, i grembi che non hanno partorito e le mammelle che non hanno allattato”. 

30 Allora cominceranno a dire ai monti: “Cadeteci addosso”; e ai colli: “Copriteci“. 31 Perché se fanno questo al legno verde, che cosa sarà fatto al secco?»
32 Ora, altri due, malfattori, erano condotti per essere messi a morte insieme a lui.
33 Quando furono giunti al luogo detto «il Teschio», vi crocifissero lui e i malfattori, uno a destra e l’altro a sinistra. 34 Gesù diceva: «Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno». Poi divisero le sue vesti, tirandole a sorte. 35 Il popolo stava a guardare. E anche i magistrati si beffavano di lui, dicendo: «Ha salvato altri, salvi se stesso, se è il Cristo, l’Eletto di Dio!» 3

6 Pure i soldati lo schernivano, accostandosi, presentandogli dell’aceto e dicendo: 37 «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso!» 38 Vi era anche questa iscrizione sopra il suo capo: QUESTO È IL RE DEI GIUDEI. 39 Uno dei malfattori appesi lo insultava, dicendo: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!» 40 Ma l’altro lo rimproverava, dicendo: «Non hai nemmeno timor di Dio, tu che ti trovi nel medesimo supplizio? 41 Per noi è giusto, perché riceviamo la pena che ci meritiamo per le nostre azioni; ma questi non ha fatto nulla di male». 42 E diceva: «Gesù, ricòrdati di me quando entrerai nel tuo regno!» 43 Ed egli gli disse: «Io ti dico in verità, oggi tu sarai con me in paradiso».

 

Giungiamo verso il culmine del vangelo, l’arrivo non tanto all’attesa città di Gerusalemme, ma al fulcro della missione di Gesù sulla terra: la sua morte sulla croce. È un evento preparato nel corso dei tre anni di ministero e Luca ci mostra una serie di reazioni possibili rispetto alla croce. Dobbiamo immaginare che ci troviamo un momento di fortissima tensione emotiva. Stanno per mettere a morte un uomo amato da molti e odiato da molti altri. Quando sentiamo la notizia che in Iran sono stati impiccati pubblicamente un certo numero di criminali pur non assistendo rabbrividiamo. Qui siamo davanti ad una scena simile, nella quale viene ucciso Gesù assieme a due altri ladroni.

È un’ironia della storia il fatto che molti di noi portino con leggerezza delle croci appese addosso, quasi fossero motivi ornamentali. Sicuramente per molti è il simbolo autentico della sofferenza di Gesù, ma in molti altri casi il significato sembra sfumare. Immaginiamo di sostituire queste croci con sedie elettriche, capestri o siringhe per iniezioni letali…. Farebbero tutto un altro effetto e ci farebbero rabbrividire. La scena che leggiamo oggi ha questo tono forte rispetto a cui abbiamo diverse reazioni, molte della quali esprimono delle chiare emozioni.

 

  1. Simone di Cirene: di cosa ci sorprendiamo?

Di quest’uomo si dice pochissimo nel vangelo. È apprezzato nella cultura popolare, ha un posto importante nella via Crucis, e viene spesso idealizzato, perché si dice che poi si sia convertito ma non possiamo esserne sicuri. Nei vangeli si dice pochissimo di lui e non possiamo sapere niente di preciso sulla sua vita dopo questo accompagnamento di Gesù con la croce.

Una cosa è certa: per lui incontrare Gesù e portare la sua croce, quindi assisterlo in un compito che tutti scansavano perché era obbrobrioso, è una sorpresa.

Ben rappresenta l’atteggiamento che possiamo avere di fronte alla sofferenza. Simone non si è andato a cercare quel male, gli viene imposto di aiutare un sofferente e non ha molta scelta visto che si trova davanti a dei soldati e non è che un contadino. Può maledire Gesù e chiedersi perché proprio a lui è capitato di doverlo aiutare, oppure simpatizzare con lui e cercare di capire il perché di quella sofferenza. Scoprendo forse alla fine che Gesù sta soffrendo per lui.

Davanti a molte disgrazie possiamo chiudere gli occhi, fare finta di niente, ignorarle. Davanti alla croce possiamo costruire meravigliose dottrine, esaltarla, sminuirla, vanificarla. Le circostanze della vita talvolta ci impongono la croce. Ci impongono di valutare chi era Gesù e perché ha sofferto per noi. Come Simone dobbiamo scegliere come rispondere a questa sorpresa, se con empatia o con indifferenza. Portare la croce e poi lasciare perdere, tornando ai campi. Oppure portare la croce che significa una svolta nella vita.

 

 

  1. Le donne di Gerusalemme e il popolo con il Re dei Giudei: per cosa piangiamo?

Benché nessuno intervenisse, qualcuno non era d’accordo con la crocifissione di Gesù. Quella parte di popolo che lo aveva accolto a Gerusalemme, che non aveva la forza ed i mezzi per opporsi alla sua condanna, ha almeno la possibilità di lamentarsi.

Per questi c’è un mondo che crolla. Colui in cui avevano creduto e che aveva fatto loro delle promesse, da tanti interpretate come messianiche – volte cioè alla ricostruzione del regno di Israele, per un benessere maggiore per tutti ed una libertà dagli occupanti romani – è sconfitto. Cosa sperare ancora? La risposta di Gesù è pronta e contiene una grande verità e che riguarda l’Israele di quel tempo:  l’aver rifiutato il messia comporta delle conseguenze: anziché liberati vedranno la loro città distrutta, come successe a due riprese, nel 70 e nel 135 dopo Cristo.

Gesù evoca le parole del profeta Osea, rivolte 800 anni prima ad Israele, che annunciavano punizione. Chi di loro non ha capito ancora che la natura del nuovo regno è spirituale e che il regno di Israele non ha più alcun ruolo sulla terra, rimarrà deluso… Sarà destinato a vedere dolori ancora più grandi di quelli che subisce Gesù, come furono quelli delle guerre Giudaiche.

Gesù quindi invita a non piangere per lui, ma per ciò che comporterà l’averlo crocifisso ed ucciso, cosa  che è ancora più grave. L’immagine del legno verde e del secco probabilmente significa questo: ai crocifissori verranno inflitte sofferenze ancora più gravi.

Gesù non riprende certo le donne per un sentimento autentico di disperazione, ma le invita a considerare bene ciò per cui si piange. Aver rifiutato Gesù significa aver rifiutato Dio ed il suo amore, contraccambiandolo con la violenza e l’odio. Il problema non è tanto in ciò che si fa a Dio, ma nelle conseguenze che questo comporta.

Dopo XXI secoli da quell’evento tragico molte persone piangono e fanno cordoglio per i numerosi mali nel mondo, senza vedere quanto spesso sono conseguenza dell’aver abbandonato Dio e messo al primo posto denaro, mercato, territori, nazioni.  Ogni volta che si crocifigge Dio allontanandolo dalla propria vita, non si fa del male a Dio, ma si fa del male a noi stessi.

Ci si fa del male anche se pensiamo di aver riconosciuto in Gesù il re, ma come le donne di Gerusalemme, abbiamo capito male la natura del suo regno. Se ci aspettiamo da Gesù una vita priva di sofferenze, politicamente democratica e socialmente rispettabile, abbiamo capito male!

Certo che può essere così, e la vita di molti cristiani talvolta protetta dalla mano di Dio può riservare anche benedizioni materiali; ma non è quello il tratto caratteristico, anzi! Se il legno verde è stato crocifisso, a chi lo segue può essere fatto di peggio. La sofferenza, per chi scegli di seguire Dio, deve essere messa in conto.

 

  1. I capi del popolo, i soldati, un malfattore. Di cosa ridiamo?

Anche gli oppositori di Gesù parlano di lui come del re dei Giudei, ma con il tono dell’ironia e della sfida. Visto che sei un re, quindi ha potenza, e che ti sei reclamato messia e figlio di Dio, avrai dei poteri tali da salvare te stesso. Non è un ragionamento sostanzialmente diverso da quello delle donne di Gerusalemme, benché di segno opposto, perché poggia comunque sulla convinzione che un vero re ha un potere tale per cui possa sempre salvarsi.

Per noi è facile dopo tanto tempo simpatizzare con Gesù e accusare i suoi accusatori. Ma a ben pensare non è così folle quello che dicono: che Dio è quello appeso ad una croce? Per noi tutti Dio è qualcuno al di sopra di tutti, lo descriviamo con gli aggettivi di onnipotente, onnipresente, onnisciente, Altissimo, creatore… Se abbiamo un problema ci rivolgiamo a Dio, se stiamo male invochiamo Dio… Ha aiutato altri, perché non salva se stesso? Dove è la grandezza di questo Dio?

Non possiamo vedere la gloria di Dio se non passiamo attraverso questa croce. I vari personaggi che lo chiamano re dei giudei ma che non riescono a riconoscerlo come tale, si aspettano da lui che faccia ciò che loro stessi farebbero al suo posto. In realtà, questo Dio appeso ad una croce sceglie di mostrarsi nella sua debolezza e si erige contro tutti i sogni precostituiti di grandezza umana, condanna il male commesso dagli uomini, e la sua postura si rivolge agli uomini come una condanna: ci sono state le opere che hanno mostrato che Gesù aveva potenza. C’è stata la forza dei suoi discorsi.

Ci sarà la resurrezione. Tutto questo non è bastato. La logica umana funziona credendo che il male si sconfigge con un male più grande: un avversario violento si vince con maggior violenza, il peccato umano con la punizione, l’omicidio con la morte, un male sociale cercando un capro espiatorio. Dio appeso ad una croce è lì per dire che il male assoluto, il peccato umano, lo vince solo Dio che benché messo in croce dagli uomini perdona.

Non sanno quello che fanno! È vero! Non significa che non siano responsabili o che pensino di fare qualcosa di bello. Non sanno quanto grande è il loro peccato e quanto è grave rifiutare Dio. Gesù non è né il primo né l’unico ad essere crocifisso, quindi la gravità non sta tanto nell’uccisione di un uomo in sé, pratica aberrante, che era tuttavia in uso a quel tempo. La gravità sta nel non rendersi conto che davanti avevano veramente il re dei Giudei e non solo: era il re dei re, il re di chiunque voglia entrare nel regno di Dio.

Quando sento Gesù che dice: perdona loro perché non sanno quello che fanno, mi vengono in mente due cose: da un lato sento il desiderio di dire grazie, perché immagino quanto volte avrò fatto cose aberranti con leggerezza ed inconsapevolezza, di cui non mi sono neppure reso conto, e per cui sono comunque responsabile, non posso che ringraziare Dio per la sua infinita grazia. Dall’altro mi rendo conto di quanto sia importante riflettere, pensare meditare piuttosto che schernire e ridere: gli assassini di Gesù non hanno saputo riconoscere il re dei giudei, e questo per un misto di ignoranza e di cattiva coscienza.

La fede cristiana allora è un cammino di continua ricerca per evitare di fraintendere chi è Dio, e di farmene un’idea sbagliata al punto di non saper riconoscere il vero Dio e la verità su di lui.

 

  1. Il ladrone. Che cosa ammiriamo?

La parole di questo ladrone sono forse il più bell’elogio dell’umanità che troviamo nel vangelo. Le precedenti categorie di persone non hanno saputo riconoscere il re dei giudei. Quest’uomo, mostra una lucidità incredibile: in tutta quella folla, dolorante in quanto anche lui inchiodato ad una croce, sembra l’unica persona lucida e consapevole di tutti gli astanti: è lucido rispetto alla comprensione di Dio:  ha capito che quanto accade è contro Dio. 

“Non avete timore di Dio”: Ha capito di essere un peccatore e non si lamenta per quanto gli accade. Oggi come oggi, in un’epoca in cui pensiamo solo ai nostri diritti e mai ai nostri doveri, una persona tale è rara da trovare. Infine ha capito che Gesù è veramente il re dei Giudei e che ha potere di salvare.

Quest’uomo da solo è un meraviglioso riassunto del senso del vangelo: riconosce le sue colpe e quindi possiamo immaginare che non abbia condotto una vita giusta, fatta di opere pie e rispetto della legge e di Dio. In questo momento però ha capito di essere un peccatore, ha capito la sua condizione davanti a Dio ed ha capito che è l’unica via per entrare nel regno dei cieli.

Probabilmente sa di Gesù meno di tutti, avrà forse sentito dire qualcosa su di lui, sarà al corrente degli avvenimenti, ma non risulta che sia stato un discepolo. Da quanto sa Gesù è innocente, e sta morendo come innocente ingiustamente.

Non ha opere da vantare davanti a Dio e non ha grosse conoscenze teologiche da sbandierare. Però ha capito che tutto, tutta la vita, la possibilità di salvarsi, il giudizio del bene e del male, la salvezza, sono nella mani di quel messia appeso alla croce.

Diversamente dagli altri non dirà che un messia non può essere appeso ad una croce, al contrario crederà al di là dell’evidenza. Crederà in un regno che non vede e di cui non ha prove.

C’è un messaggio forte per ognuno di noi in quest’uomo: possiamo entrare nel regno dei cieli se ci sentiamo come questo ladrone: sprovvisti di tutto e a mani vuote. Non sono le nostre idee su Dio che ci salveranno, ma la fede che abbiamo avuto nella sua capacità di saper rispondere alla promessa: oggi ti dico che sarai con me in paradiso.

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