Gioia, fiducia, e un nuovo tipo di amore Filippesi 1:1-11 Testo e Audio

Oggi vogliamo iniziare una nuova serie di predicazioni. Per le prossime settimane lavoreremo alla lettera ai Filippesi. La lettera si colloca, insieme alle altre lettere del Nuovo Testamento, nel periodo successivo alla morte e resurrezione di Cristo e la nascita della chiesa.

Queste lettere sono state scritte da alcuni dei leader più importanti del movimento cristiano del 1 secolo e molte sono state scritte da Paolo, che è anche l’autore della lettera ai Filippesi.

Prima di passare al testo vorrei fare una breve introduzione, che ci servirà per capire meglio la lettera.

La fondazione della chiesa di Filippi, alla quale Paolo si rivolge, segna l’entrata del “vangelo del Signore Gesù Cristo in Europa”. La chiesa di Filippi è la prima chiesa, infatti, fondata fuori dall’asia minore e il medio oriente. Essa viene fondata da Paolo durante il suo secondo viaggio missionario quando, guidato dallo Spirito Santo, decide di non proseguire verso l’Asia con il suo viaggio ma di andare verso l’Europa. Se volete potete leggere quanto successo nel libro degli Atti, al capitolo 16 dal versetto 6 fino al 40.

Filippi era la città più importante della colonia romana Macedonia. Filippi era una città importante per l’impero romano e una città che ci teneva al suo legame con Roma. La chiesa viene fondata in mezzo “a una generazione corrotta e perversa”, per usare le parole di Filippesi 2:15, ed era composta sia da persone che avevano aderito al giudaesimo sia da persone dal mondo gentile, ovvero pagano.

La lettera è generalmente attribuita a Paolo, non sembrano esserci dubbi sull’autorità dell’apostolo. Quello che non è del tutto chiaro è quando è stata scritta. Come è chiaro dalla lettera, Paolo sta scrivendo da una prigione. Le ipotesi più accreditate fra gli studiosi è che la lettera sia stata scritta tra il 54 e il 55 d.C. mentre Paolo era prigioniero a, o vicino a, Efeso, oppure che sia stata scritta più tardi, durante la prigionia a Roma tra il 61 e il 63 d.C.

Cosa spinge Paolo a scrivere questa lettera? Scopriremo durante questa serie che Paolo:

  • Vuole rassicurare i filippesi sulla sua condizione e sui suoi progetti futuri
  • Vuole riaffidare a loro il postino di questa lettera, Epafrodito, che ad un certo punto si era ammalato
  • Vuole ringraziare per la generosità della chiesa
  • Vuole affrontare delle problematiche della chiesa di Filippi, come l’unità e un atteggiamento rinunciatario nel momento della prova

Infine, alcuni temi che si trovano in questa lettera e che riassumo in poche parole:

  • Gioia
  • Unione in Cristo
  • Unità fra i fratelli
  • Vangelo
  • Il ritorno di Cristo

Segnatevi queste parole, guardate nelle prossime settimane come verranno usate dall’apostolo Paolo nell’arco della lettera.

1 Paolo e Timoteo, servi di Cristo Gesù, a tutti i santi in Cristo Gesù che sono in Filippi, con i vescovi e con i diaconi: 2 grazia a voi e pace da Dio nostro Padre e dal Signore Gesù Cristo.

Fermiamoci un attimo qui, prima di proseguire con la lettura del prossimo paragrafo. Se siete come me, anche voi saltate le introduzioni e le prefazioni dei libri. A me piace arrivare il più presto possibile al nocciolo della questione e spesso con le lettere del Nuovo Testamento tralascio o leggo molto velocemente i primi e gli ultimi versetti, i saluti. La cosa incredibile è che, anche in questa parte della lettera, Paolo riesci a riempire il testo di verità incredibili. Intanto in questo indirizzo, Paolo si presenta con Timoteo, una figura che ritroveremo più avanti nella lettera. Paolo e Timoteo vengono definiti come servi di Cristo Gesù. Quindi da una parte essi sono totalmente dedicati alla causa del loro Signore, ovvero Cristo Gesù, e dall’altra sono ambasciatori con una autorità speciale, che deriva dall’incarico che hanno ricevuto da questo Signore.

La lettera è rivolta ai santi. Cosa si intende per santi? Non dei morti che vengono fatti santi dalla chiesa e successivamente venerati in qualche modo. No, Paolo non sta parlando di morti ma di viventi. I santi di Filippi non sono altro che i cristiani di Filippi, ovvero tutte quelle persone che avevano creduto nello stesso Cristo Gesù che lui e Timoteo stavano servendo. Questa santità non si acquisisce sulla base di opere speciali, di miracoli. Questa santità si riceve in Cristo Gesù. Ovvero i filippesi non avevano fatto niente per guadagnarsela, ma l’avevano ricevuta gratuitamente nel nome di Cristo. Questi santi, questi cristiani erano praticamente la chiesa di Filippi.

E questa chiesa era organizzata in qualche modo. Spesso si dice che dobbiamo tornare all’inizio del movimento cristiano, essere imitatori della prima chiesa. Alcuni affermano che questo voglia dire eliminare strutture, organizzazioni, gerarchie, formalismi che si sono creati nel corso dei secoli con il cristianesimo. Io credo che abbiamo tanto da imparare dalla prima chiesa, e una delle cose che osserviamo è che la chiesa non è semplicemente un gruppo di persone che si riunisce, senza ordine ne struttura. La chiesa di Filippi, come tutte le altre chiese neotestamentarie, era organizzata in qualche modo, aveva dei vescovi (ovvero dei supervisori), in genere più di uno, e dei diaconi, delle persone addette a delle responsabilità più pratiche, come ad esempio la distribuzione di cibo ai bisognosi.

In questi primi mesi della nostra chiesa è bello poter guardare agli inizi di essa e vedere delle similitudini. È bello poter vedere un ordine e una struttura che non sono stati creati per appesantire la chiesa, ma per servire la chiesa. E sarà fondamentale, andando avanti, essere pronti a cogliere le sfide organizzative della chiesa, a capire chi sono le persone che hanno ricevuto una chiamata da parte del Signore per servire questa chiesa, a livello pastorale e a livello diaconale, chi sono le persone da formare per la prossima, di chiesa. Credo che questo possa essere una cosa sulla quale tu possa pregare per La Torre.

Il secondo versetto è il proseguo del saluto da parte di Paolo verso i filippesi. Un po’ come quando noi scriviamo una mail: caro Alberto, come stai? Spero tu stia passando una bella giornata. Solo che in questo caso il saluto non è così scontato come nelle mie e-mail, ma è pensato, intenzionale, ricco. In cosa consiste questo saluto?

Grazie e pace. Come in altre lettere, Paolo usa una combinazione greco-ebraica per salutare. Grazia, che richiama il termine greco per “ti saluto”, ma con un significato molto più profondo e cristiano, e pace, la comune espressione ebraica di saluta. Ma shalom ha un significato più profondo del nostro termine “pace”. Questi due termini insieme bastano per far riflettere sulla condizione dei figli di Dio. Ovvero tranquillità, ovvero perdono dei peccati, ovvero dono gratuito di Dio, ovvero vita in Cristo, ovvero prosperità spirituale, ovvero benedizione, ovvero comunione, ovvero felicità, ovvero accordo. Tutto riassunto in due parole e tutto che si riceve sa Dio, che è diventato il Padre celeste non soltanto di Paolo e Timoteo, ma anche dei filippesi e per estensione di tutti i cristiani, e dal Signore Gesù Cristo.

3 Io ringrazio il mio Dio di tutto il ricordo che ho di voi; 4 e sempre, in ogni mia preghiera per tutti voi, prego con gioia 5 a motivo della vostra partecipazione al vangelo, dal primo giorno fino ad ora. 6 E ho questa fiducia: che colui che ha cominciato in voi un’opera buona la condurrà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù. 7 Ed è giusto che io senta così di tutti voi, perché io vi ho nel cuore, voi tutti che, tanto nelle mie catene[a] quanto nella difesa e nella conferma del vangelo, siete partecipi con me della grazia. 8 Infatti Dio mi è testimone come io vi ami tutti con affetto profondo in Cristo Gesù. 9 E prego che il vostro amore abbondi sempre più in conoscenza e in ogni discernimento, 10 perché possiate apprezzare le cose migliori[b], affinché siate limpidi e irreprensibili per il giorno di Cristo, 11 ricolmi di frutti di giustizia che si hanno per mezzo di Gesù Cristo, a gloria e lode di Dio.

Il rapporto di Paolo con i filippesi è speciale, intimo, amichevole. Penso che questo primissimo paragrafo della lettera lo renda evidente. L’atteggiamento di Paolo è quello di una persona che è genuinamente felice per quello che di bello sta avvenendo in questa chiesa.

Che bello vedere l’entusiasmo di Paolo per una chiesa lontana durante un momento difficile della sua vita. Paolo non passa le sue giornate a pregare affinché possa essere liberato dalle prove che sta affrontando, ma trova il modo di pregare per i filippesi. Una preghiera, quella di Paolo, condita dalla gioia e dal ringraziamento a causa della partecipazione del vangelo di questi credenti. Il vangelo quindi non è qualcosa che teniamo gelosamente per noi, ma che dobbiamo condividere e che dovrebbe recarci gioia quando vediamo che sta crescendo. Dobbiamo gioire per nuovi ministeri così come per i vecchi ministeri e chiese decennali che continuano a partecipare al Vangelo. Questa partecipazione al Vangelo si era manifestata, come vedremo andando avanti con la lettera, attraverso doni economici per il sostentamento di Paolo, ma non si limita solo a questo.

Vi ammetto che questo non è sempre facile, il nemico vuole farci credere che al centro del vangelo c’è la nostra comprensione del vangelo, i nostri metodi, le nostre strategie, i nostri contatti, la nostra teologia. Invece no, al centro del Vangelo c’è Cristo, che cresce e si manifesta. E questo Cristo, abbiamo studiato qualche settimana fa in Giovanni 17, ci accomuna ad altri fratelli ed ad altre sorelle, che possono essere diversi da noi, ma sono co-parteci della stessa buona notizia. E dobbiamo imparare a pregare per questi co-lavoratori del vangelo, e farlo con gioia, così come fa Paolo dalla sua prigione per la chiesa di Filippi.

Il versetto 6 è uno dei più famosi versetti della Bibbia, una bellissima promessa:

“E ho questa fiducia: che colui che ha cominciato in voi un’opera buona la condurrà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù.”

Come ho detto prima, Atti 16 racconta della nascita della chiesa di Filippi.

Guardate come è descritta la prima conversione in questa città:

“14 Una donna della città di Tiatiri, commerciante di porpora, di nome Lidia, che temeva Dio, stava ad ascoltare. Il Signore le aprì il cuore per renderla attenta alle cose dette da Paolo.”

Ad un certo punto a Filippi arriva Paolo, spinto dallo Spirito Santo che gli impedisce di andare in Asia. E fra tutte le persone ne troviamo una Lidia, che ascolta le parole dell’apostolo e ad un certo punto il Signore interviene e le apre il cuore.

Qualche settimana fa ero a Lucca con Aliona e la sua amica Pauline. Ad un certo, mentre camminavamo per la città, ci si è avvicinato un signore con un gelato in mano che ha esclamato “Oh, in quella gelateria regalano il gelato, regalano il gelato!”. Ragazzi, questo è vangelo! Questa è buona notizia! Una affermazione del genere deve essere molto in alto nella classifica delle 10 migliori buone notizie. Eppure, io ho reagito con molto scetticismo all’annuncio di questo signore che non conoscevo. Ero dubbioso, critico.

Credo che questo accada anche con il vero Vangelo, che ci lascia spesso scettici perché sembra troppo bello e troppo facile da avere, che non ci convince perché è qualcosa che va contro la nostra natura che è macchiata dal peccato. È qui che il Signore interviene, per aiutarci a comprendere. Ed è quello che è successo con Lidia, che Dio rende recettiva al messaggio dell’evangelista. Seguite il ragionamento di Paolo: colui che ha cominciato questa opera, non solo in Lidia ma in tutti i santi di Filippi, colui che ha cominciato questa opera la porterà a compimento. Colui che è stato preso per mano da Dio non verrà lasciato da Dio, la salvezza appartiene a Dio, viene regalata da Dio, non come un regalo del quale possiamo liberarci, ma come adozione cioè uno status che ci viene attribuito e che ci classifica come suoi! Con gioia possiamo affermare che l’uomo non può distruggere ciò che Dio ha fatto. C’è anche un’altra bella cosa in questo versetto. Questa opera non si completa con la fondazione di una chiesa, non si completa con il raggiungimento di qualche cosa da parte nostra, ma si completa con il ritorno di Cristo Gesù. Noi viviamo e siamo trasformati in funzione di quel momento!

Questo lavoro che è iniziato e che sta continuando a crescere è reso evidente dal fatto che i filippesi in ogni circostanza che Paolo ha affrontato, sono stati partecipi della grazia con l’apostolo. È molto interessante notare che le sofferenze di Paolo rendono i filippesi partecipi della grazia di Dio. Non solo la sofferenza che viviamo nella nostra vita, ma anche la sofferenza dei nostri fratelli, la “comunione delle sue sofferenze” (di Cristo, Filippesi 3:10) ci fa crescere nella grazia di Dio. Che bello vedere che anche la difficoltà della sofferenza, Dio la usa per qualcosa di buono.

I versetti 8-11 sono una richiesta di preghiera di Paolo per i filippesi. Analizziamola insieme

8 Infatti Dio mi è testimone come io vi ami tutti con affetto profondo in Cristo Gesù. 9 E prego che il vostro amore abbondi sempre più in conoscenza e in ogni discernimento, 10 perché possiate apprezzare le cose migliori[b], affinché siate limpidi e irreprensibili per il giorno di Cristo, 11 ricolmi di frutti di giustizia che si hanno per mezzo di Gesù Cristo, a gloria e lode di Dio.

Paolo innanzitutto esprime il suo amore per i filippesi e prega affinché l’amore di quest’ultimi cresca. Non semplicemente che cresca, ma che cresca in conoscenza e discernimento. Un amore quindi che non è solo un sentimento o una emozione, un amore che non è balia delle circostanze ma piuttosto un amore che sia caratterizzato da conoscenza e discernimento. Per conoscenza si intende una conoscenza spirituale, l’aver capito e afferrato la rivelazione di Dio.

A questa si aggiunge il discernimento, la capacità di prendere le decisioni morali, etiche giuste. Evidentemente queste sono due caratteristiche nella quali i filippesi dovevano crescere, e prima di riprenderli o ammonirli Paolo innanzitutto prega per loro.

La crescita dell’amore nel discernimento e nella conoscenza ha tre scopi nella preghiera di Paolo:

  • Apprezzare le cose migliori (9). Ovvero: nelle sfide della chiesa imparare a ricercare ed essere soddisfatti nelle cose che sono veramente importanti e veramente belle. In questo modo si crea unità nella chiesa (notare che Paolo si rivolge a tutti i credenti filippesi, termine ripetuto per tre volte in questi versetti)
  • Essere limpidi e irreprensibili per il giorno di Cristo (10) . Ovvero: continuare a crescere verso la statura di Cristo, sempre in funziona escatologica, ovvero con in vista il ritorno di Cristo, che Paolo cita due volte nei primissimi versetti della lettera.
  • Ricolmi di frutti di giustizia in Cristo a gloria di Dio (11). Ovvero: avendo ricevuto la giustificazione dei nostri peccati grazie a Cristo Gesù, ora possiamo far crescere il frutto, la conseguenza, di questa salvezza. Non con pochi frutti, ma ripieni, ricolmi, abbondanti di frutti.

Ricapitolando, in questo paragrafo abbiamo questi tre aspetti:

  1. La gioia di Paolo per i filippesi
  2. Fiducia di Paolo nell’opera di Dio nei filippesi
  3. Preghiera di Paolo per l’amore dei filippesi

Facendo nostri questo aspetti, penso che possiamo riflettere sulla gioia che dovremmo avere come singoli e come chiesa per la nostra partecipazione al Vangelo. Che bello poter essere testimoni di quello che Dio sta facendo in noi, nei nostri fratelli, nelle nostre sorelle. Che bello poter gioire e ringraziare, come faceva Paolo, anche quando la vita non sta andando come vorremmo.

Ma, a volte, possiamo mettere in dubbio il Signore. Possiamo iniziare a credere che Dio non continuerà ad essere fedele, non continuerà a prendersi cura di noi. Facciamo nostra la fiducia di Paolo e preghiamo al Signore “Signore vieni incontro alla mia fede, anche se dubito, aiutami a ricordare che l’opera è tua, che tu l’hai iniziata, che tu la porterai a compimento.” La nostra vita, questa chiesa, è al sicuro nell’opera che Dio sta portando avanti.

E infine, continuiamo a pregare per questa chiesa, che l’amore di Cristo, che abbiamo ricevuto grazie al sacrificio di Cristo, che abbiamo fatto nostro per fede in lui, possa crescere. Qualcuno dirà, “Wow, che messaggio banale e scontato, alla fine della fiera la sfida è ad amare di più”. Si, ma l’amore che abbiamo visto in questi versetti non è “abbracciamoci forte e vogliamoci tanto bene “come disse qualcuno qualche anno fa, ma cresciamo intenzionalmente nell’amore in Cristo, diventando avveduti e saggi, pieni di frutti di giustizia. Un amore di questo tipo non è soltanto un sentimento, ma viene coltivato con la conoscenza di Dio; non è solo un istinto ma è anche una scelta; non è frutto del caso ma è frutto dell’impegno.

Domanda: in che modo il nostro amore può crescere, abbondando in conoscenza e discernimento, affinché siamo limpidi, ricolmi di frutti di giustizia?

 

 

 

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