L’identità di Cristo Gesù – Luca 9:7-9/18-22/28-36

L’identità di Cristo Gesù
Nel mio ultimo messaggio abbiamo iniziato il capitolo 9 di Luca e abbiamo visto che questo capitolo può essere diviso in tre filoni. Nel primo messaggio abbiamo parlato dell’opera dei discepoli. Nel prossimo parleremo dell’identità dei discepoli. Nel mezzo parliamo di Cristo, che è il filo conduttore. E in particolare vogliamo parlare dell’identità di Gesù. Chi è Gesù? Come risponderesti a questa domanda? Quando dobbiamo descrivere qualcuno, spesso iniziamo con una descrizione fisica. In una sorta di Indovina Chi, il famoso gioco, iniziamo dicendo “Marco è quel ragazzo alto, sulla quarantina, in forma fisicamente, pelato, con gli occhiali.” Ma questa descrizione fisica ci aiuta solo ad identificare una persona, non a conoscerla veramente per chi lei è.
Quante volte vi è capitato di giudicare una persona prima di conoscerla, e poi di cambiare giudizio dopo averla conosciuta. Non giudichiamo Gesù all’apparenza, ma conosciamo Gesù.

E penso che tutti noi vogliamo conoscere, scoprire, o riscoprire, sempre più, chi è Gesù. Inoltre nel caso di Gesù una descrizione fisica è abbastanza inutile, visto che lui non è fisicamente presente qui, per ora. Altri modi per conoscere meglio una persona possono essere ciò che una persona fa, per esempio “Michel è pastore di una chiesa”, oppure la sua famiglia. Ad esempio l’altro giorno ero al telefono con una signora delle Marche che parlava di Luca come figlio dei suoi genitori. Un altro modo ancora per identificare una persona è attraverso un tratto ben preciso, che spicca, del suo carattere, “Blanka è quella ragazza che è sempre stupefatta.” Sono questi i modi che Luca 9 adopera per farci conoscere meglio chi è Gesù, l’identità di Gesù. Andiamo a leggere insieme Luca 9:7-9/18-22/28-36.

Perplessità di Erode
7 Erode il tetrarca udì parlare di tutti quei fatti; ne era perplesso, perché alcuni dicevano:
«Giovanni è risuscitato dai morti», 8 altri dicevano: «È apparso Elia» e altri: «È risuscitato uno degli antichi profeti». 9 Ma Erode disse: «Giovanni l’ho fatto decapitare; chi è dunque costui del quale sento dire queste cose?» E cercava di vederlo.

Pietro riconosce in Gesù il Cristo
18 Mentre egli stava pregando in disparte, i discepoli erano con lui; ed egli domandò loro:
«Chi dice la gente che io sia?» 19 E quelli risposero: «Alcuni dicono Giovanni il battista; altri, Elia, e altri, uno dei profeti antichi che è risuscitato». 20 Ed egli disse loro: «E voi, chi dite che io sia?» Pietro rispose: «Il Cristo di Dio». 21 Ed egli ordinò loro di non dirlo a nessuno, e aggiunse:
22 «Bisogna che il Figlio dell’uomo soffra molte cose e sia respinto dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, sia ucciso e risusciti il terzo giorno».

La trasfigurazione
28 Circa otto giorni dopo questi discorsi, Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo,
e salì sul monte a pregare. 29 Mentre pregava, l’aspetto del suo volto fu mutato e la sua veste divenne di un candore sfolgorante. 30 Ed ecco, due uomini conversavano con lui: erano Mosè ed Elia, 31 i quali, apparsi in gloria, parlavano della sua dipartita che stava per compiersi in Gerusalemme. 32 Pietro e quelli che erano con lui erano oppressi dal sonno; e, quando si furono svegliati[e], videro la sua gloria e i due uomini che erano con lui. 33 Come questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: «Maestro, è bene che stiamo qui; facciamo tre tende: una per te, una per Mosè e una per Elia». Egli non sapeva quello che diceva. 34 Mentre parlava così, venne una nuvola che li avvolse; e i discepoli temettero quando essi entrarono nella nuvola. 35 E una voce venne dalla nuvola, dicendo: «Questo è mio Figlio, colui che io ho scelto; ascoltatelo[g]». 36 Mentre la voce parlava, Gesù si trovò solo. Ed essi tacquero e in quei giorni non riferirono nulla a nessuno di quello che avevano visto.

Un’identità nascosta ed equivocata
La prima cosa che voglio notare è che l’identità di Gesù non è universalmente chiara ed accettata. Stiamo studiando l’Apocalisse e abbiamo visto che quando Cristo tornerà ci sarà questa scena riportata da Giovanni nel capitolo 7:
9 Dopo queste cose, guardai e vidi una folla immensa che nessuno poteva contare, proveniente da tutte le nazioni, tribù, popoli e lingue, che stava in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello, vestiti di bianche vesti e con delle palme in mano. 10 E gridavano a gran voce, dicendo: «La salvezza appartiene al nostro Dio che siede sul trono, e all’Agnello».

Ma per ora l’identità di Gesù è ancora nascosta ed equivocata. Lo era in maniera particolare per i suoi contemporanei durante la sua vita su questa terra. Il re Erode voleva vederlo ma non ci riusciva, Gesù stesso ordina ai discepoli di non rivelare la sua identità al versetto 21, ed infine i discepoli stessi non parlano di quello che era accaduto durante la trasfigurazione, come leggiamo al versetto 36. Non so se avete mai visto Top Gear, il programma sulla macchine, in cui c’è The Stig, un pilota misterioso che non parla mai ed è sempre coperto da un casco e da una tuta e quindi non si conosce la sua identità. Anche intorno a Gesù c’era un alone di mistero. E ancora oggi, sebbene i discepoli non sono più chiamati a tenere nascosta l’identità di Gesù, la sua identità è parzialmente nascosta.

Ed oltre ad essere nascosta, è anche equivocata. Io ho perso il conto delle volte in cui sono stato scambiato con uno dei miei fratelli. Ogni volta che mi saluta qualcuno devo cercare di capire se stanno salutando me o se in realtà stanno pensando di salutare Pascal o Fabian, i miei fratelli. Lo stesso era vero per Gesù. Erode era perplesso, perché sentiva parlare di Gesù e della sua potenza, e:
alcuni dicevano: «Giovanni è risuscitato dai morti», 8 altri dicevano: «È apparso Elia» e altri: «È risuscitato uno degli antichi profeti».

Queste non erano solo le voci che giravano nei palazzi, ma anche tra le persone comuni. Infatti quando Gesù chiede ai discepoli “«Chi dice la gente che io sia?”, anche loro rispondo allo stesso modo:
«Alcuni dicono Giovanni il battista; altri, Elia, e altri, uno dei profeti antichi che è risuscitato». (19)

Chiaramente Gesù non era né Giovanni, né Elia, né un altro profeta. Era, ed è, qualcosa di unico e irripetibile, che non può essere paragonato ad altri umani o essere compreso in termini meramente umani. Ancora oggi Gesù viene equivocato: un eroe, un rivoluzionario, un pazzo, un bugiardo, un esempio, un amico, un illuso.

E quindi ci rendiamo conto che c’è una difficoltà oggettiva nel conoscere l’identità di Gesù. Se vogliamo conoscere Gesù dobbiamo cercarlo nel posto, nel modo, nel ruolo, nelle caratteristiche che lui vuole. Se vogliamo vedere Gesù, lui di certo non si nasconderà, ma dobbiamo superare gli ostacoli che ci sono. Erode voleva vedere Gesù, ma non lo vede perché non era disposto ad uscire dal suo palazzo regale e andargli incontro.

L’identità di Gesù: il Cristo
Il capitolo 9 di Luca ci aiuta a scoprire l’identità di Gesù, e siccome riporta gli eventi e le parole di Gesù, sappiamo che questo è il modo in cui Gesù vuole essere conosciuto, queste sono le cose che Gesù vuole che si sappiano di lui.

Al versetto 20 leggiamo: Ed egli disse loro: «E voi, chi dite che io sia?» Pietro rispose: «Il Cristo di Dio».

Gesù, quindi, è il Cristo di Dio. Nei vangeli questo episodio è centrale, molto importante. Per la prima volta un discepolo afferma pubblicamente che Gesù è il Messia. Messia, o Cristo, vuol dire Unto. L’unto del Signore rappresentava una persona scelta dal Signore per un compito speciale. Nell’AT vengono unti i sacerdoti, i re e i profeti. Ma l’unto, il Messia, era anche una persona speciale, il salvatore che doveva venire per liberare Israele ed instaurare un nuovo patto fra Dio e il suo popolo.

Gesù è questo Messia speciale, Gesù è il Cristo, che viene a realizzare, a portare a compimento in maniera definitiva il bisogno di un profeta perfetto, un sacerdote perfetto, un re perfetto. Gesù è Cristo, dove Cristo non è il cognome, ma è il titolo che spetta a lui. Quando ci rivolgiamo a Gesù come Cristo, riconosciamo che lui è l’adempimento di tutto il vecchio testamento, che il suo compito, il suo lavoro, è quello di liberare, di salvare, di portare a compimento il piano di Dio. Gesù è il salvatore, che attraverso la sua morte sulla croce e la sua resurrezione e l’ascensione in cielo, ha già scritto il finale della storia dell’universo.

Cosa vuol dire conoscere Gesù come Cristo? In che modo questo tratto dell’identità di Gesù ti incoraggia o ti sprona?

Guardando agli orrori della guerra, o alle tue piccole difficoltà quotidiane, sapere che Gesù è il Cristo ci aiuta a credere che Dio è fedele e veritiero, che Dio continuamente e ancora oggi trasforma le difficoltà della vita in qualcosa di speciale. Vuol dire ricordarsi che la soluzione al mio peccato, ai miei sbagli, ai miei errori e al peccato, agli sbagli e agli errori non è dentro di me, o in una persona di questo mondo ma è in un altra persona, Cristo Gesù. Conoscere Gesù come Cristo vuol dire spostare l’attenzione da me a lui, perché chiunque conosce il Cristo di Dio cede il passo a lui e in cambio riceve la sua liberazione, la sua pace, la sua potenza.

L’identità di Gesù: il Figlio
Abbiamo visto il titolo di Gesù, il Cristo. La seconda cosa che Luca rivela sull’identità di Gesù è la sua famiglia. Gesù non è soltanto il Cristo di Dio, ovvero un uomo speciale scelto per un compito speciale. Nei primi 8 capitoli Luca ha reso evidente come lui sia molto di più. Gesù, infatti, è il Figlio di Dio.

Questa rivelazione la scopriamo, o la riscopriamo, nel bel mezzo di un evento straordinario, la trasfigurazione narrata nei versetti 18-22. Nei tre vangeli sinottici la trasfigurazione è messa molto in risalto, e avviene in un momento di svolta, dopo che Pietro riconosce in Gesù il Cristo e subito prima che Gesù si metta in cammino verso Gerusalemme per essere arrestato, torturato e crocifisso.

Ma prima di questa partenza, abbiamo la trasfigurazione. Ancora una volta Gesù è in preghiera, con i suoi discepoli più stretti, Pietro, Giovanni e Giacomo. E mentre Gesù sta pregando, e i discepoli faticano a stare svegli, il volto e i vestiti di Gesù mutano, diventando pieni di luce. Ed ad un certo punto appaiono Mosè ed Elia. Non è semplice interpretare questi versetti, ma alcune cose sono chiare. Intanto si tratta di una scena gloriosa, il termine gloria si ripete due volte. Si tratta del tipo di gloria associata a Dio e tipica delle rivelazioni divine del Vecchio Testamento. Mosè ed Elia sono due figure chiave dell’Antico Testamento. Mosè era stata la guida di Israele, aveva dato la legge di Dio ad Israele, ed era stato anche un profeta per Israele. Mosè è uno dei prototipi più chiari di Gesù. Mosè aveva visto da vicino la gloria di Dio sulla cima di un monte, come Gesù è ora su un monte, e il suo volto risplendeva di gloria quando tornò verso il popolo. Elia, nel pensiero ebraico, era una figura escatologica, ovvero degli ultimi tempi. E questa trasfigurazione si colloca quindi tra il passato, l’esodo di Israele dall’Egitto, e il futuro, il ritorno di Cristo.
Abbiamo accennato all’aspetto glorioso di questo episodio, nel quale vediamo come Gesù sia più importante, più glorioso di Mosè e di Elia. Uno studioso scrive:

Questa gloriosa trasformazione dell’aspetto di Cristo è l’evento più significativo tra la sua nascita e la sua passione. In ciascuno dei Vangeli sinottici, si pone come una magnifica dichiarazione cristologica. Sia la trasformazione stessa che il commento divino espresso nella Voce dal cielo dichiarano che Gesù Cristo è l’amato Figlio di Dio.

In mezzo a questa scena gloriosa, in mezzo all’avanzamento del piano di Dio tra Israele, la venuta del Cristo e il suo ritorno, scopriamo che Gesù è anche il Figlio di Dio. Scopriamo che la Trinità è la sua famiglia, che quello che caratterizza questa famiglia, quello che il Figlio che ci è stato mandato ha da sempre conosciuto è la gloria suprema. Scopriamo che Gesù non soltanto ha un titolo, ma che è famiglia, perchè per mezzo di lui noi diventiamo parte della famiglia, suoi fratelli e coeredi delle promesse di Dio Padre. Scopriamo che Gesù non soltanto è mandato da Dio, ma è Dio stesso. Scopriamo che il Padre, il Figlio e lo Spirito sono relazionali e comunitari, e che vogliono condividere questa relazione e comunione perfetta con tutti coloro che accettano il Figlio.

La trasfigurazione è quel momento in cui, insieme al battesimo, Dio stesso parla dal cielo e testimonia a favore di Gesù. E dopo averci detto che Gesù è il Figlio, ci ordina di ascoltarlo.

Cosa vuol dire conoscere Gesù come Figlio? In che modo questo legame famigliare con la Trinità, ma anche con noi, ha un effetto sulla nostra vita? In che modo sapere che possiamo e dobbiamo ascoltare il Figlio impatta la tua vita di tutti i giorni? Dove potresti ascoltarlo di più, dove potresti godere maggiormente della relazione familiare nella quale ti ha incluso? Magari puoi ascoltare la sua voce quando il nemico ti tenta con delle bugie. Magari puoi sentire la sua vicinanza quando ti senti solo o senti che nessuno ti capisca. Gesù è un fratello sempre vicino, come dice il vecchio inno:
Quale amico in Cristo abbiamo qual rifugio nel dolor!
Nella pace a Lui portiamo Tutto quel che turba il cuor. Oh! La pace che perdiamo Oh! Gl’inutili dolor,
perché tutto non portiamo in preghiera al Salvator!

L’identità di Gesù: la croce
La trasfigurazione, e in generale i tre testi di oggi, ha un ulteriore tema. Il commentario che ho citato prima continua dicendo:

Luca sottolinea un’ulteriore dimensione dell’evento: la sofferenza che attendeva il Servo scelto da Dio.1

Questo ci riporta a Mosè ed Elia, che sono accomunati da una cosa: la morte, o la dipartita di cui discutevano con Gesù. Mosè morì fuori dalla terra promessa, sepolto direttamente dal Signore in un luogo che nessuno conosce. Elia viene rapito da un carro di fuoco e sale in ciele in un turbine. Entrambe queste dipartite hanno qualcosa in comune con la morte di Cristo.
E questo ci porta al terzo aspetto dell’identità di Gesù. Abbiamo conosciuto Gesù per mezzo del suo titolo, il Cristo, la sua famiglia, la Trinità, e ora vediamo un suo tratto distintivo: la sofferenza, rappresentata perfettamente dalla croce.

Quando Pietro riconosce in Gesù il Cristo, un cerchio si chiude. Ma Gesù non organizza una festa, ne consegna a Pietro il titolo di dottore in teologia. Invece dice queste parole:

22 «Bisogna che il Figlio dell’uomo soffra molte cose e sia respinto dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, sia ucciso e risusciti il terzo giorno».

Elia, Mosè e Gesù parlano della dipartita che stava per compiersi a Gerusalemme. Il ministero di Gesù è caratterizzato dalla croce di Cristo, dalla sofferenza del calvario, dall’ombra di morte che lo circondava sin dalla sua nascita. Il Cristo di Dio, il Figlio di Dio, questa persona gloriosa e superiore ad ogni altro essere umano, è venuto per soffrire e per morire. E quante sofferenze ha sperimentato nella sua vita: discepoli ottusi che volevano costruire delle tende nel momento sbagliato, tradimenti, diffamazioni, tranelli, provocazioni, rifiuti, percosse, la croce, il giudizio e l’abbandono di Dio, la morte.

Ovviamente la croce non è l’unico tratto di Gesù, ma è uno dei tratti fondamentali. Dobbiamo fare nostra una giusta ed equilibrata teologia della sofferenza. Dobbiamo ricordarci che la sofferenza ha contraddistinto la vita di Gesù e, come vedremo la prossima volta, contraddistingue la vita dei discepoli di Gesù. Questo vuol dire che non soltanto Gesù simpatizza con noi nelle nostre sofferenze, perchè ha conosciuto la sofferenza, ma anche che dobbiamo fare nostra questa sofferenza.

Leonardo De Chirico ha scritto che “Il cristianesimo sofferente non è una novità. Al contrario, sembra essere la modalità prevalente della chiesa quando essa è stata socialmente minoritaria…la chiesa è nata con la persecuzione nel proprio DNA.”

Come reagisci a questo tratto della persona di Gesù? Il fatto che abbia sofferto ti porta ad allontanarti da lui o ad avvicinarti a lui? Accetti la croce di Cristo non soltanto come perdono dei tuoi peccati e biglietto per il paradiso, ma come come simbolo della sua sofferenza e della tua sofferenza?

Sempre De Chirico scrive che “la comunità cristiana deve saper contestualizzare la retorica del “successo” senza farsi abbagliare dalle sirene della prosperità…la chiesa deve familiarizzarsi con la teologia biblica della persecuzione, della sofferenza e del martirio. Senza eroismi, dolorismi e sentimentalismi, ma anche contro l’imborghesimento della fede, occorre fare i conti con il dato della sofferenza per Cristo che è iscritto in modo costitutivo nella sequela (Sequela è il cammino della vita ripercorrendo le tracce di Gesù, la risposta pratica all’appello che il Cristo rivolge al discepolo: «seguimi») evangelica…Non ci sono scorciatoie o altri percorsi per i discepoli di Cristo. I tempi e le modalità, l’intensità e l’impatto saranno diversi e a macchia di leopardo, ma il “programma” della vita cristiana è quello sino alla seconda venuta del Figlio di Dio.”

In questi giorni difficili in Europa, in Russia, in Ucraina, dobbiamo essere cristiani della croce, pronti ad accettare la sofferenza a fin di bene, a sacrificarci per il bene del prossimo. Dobbiamo farlo ricordando che abbiamo conosciuto Gesù, il Cristo di Dio, il Figlio di Dio, morto per noi in croce.

La propria croce

23 Diceva poi a tutti: «Se uno vuol venire dietro a me, rinunci a se stesso, prenda ogni giorno la sua croce e mi segua. 24 Perché chi vorrà salvare la sua vita la perderà, ma chi avrà perduto la propria vita per causa mia la salverà. 25 Infatti, che serve all’uomo guadagnare tutto il mondo, se poi perde o rovina se stesso? 26 Perché se uno ha vergogna di me e delle mie parole, il Figlio dell’uomo avrà vergogna di lui, quando verrà nella gloria sua e del Padre e dei santi angeli. 27 Ora io vi dico in verità che alcuni di quelli che sono qui presenti non gusteranno la morte, finché non abbiano visto il regno di Dio».

Questa prima caratteristica è la caratteristica base, senza la quale non si va da nessuna parte e senza la quale non ci possono essere le altre. Il ministero terreno di Gesù è definito da una croce, e i discepoli di Gesù sono essi stessi definiti dalla sua croce. Però non basta guardare alla croce di Cristo. La croce di Cristo è la nostra speranza, ma Gesù poi ci invita non soltanto a guardare la sua croce ma anche a prendere ognuno la propria croce e seguirlo. Noi contempliamo la croce di Cristo come unica fonte di salvezza. Ma chi ha capito cosa vuol dire contemplare Cristo e la sua croce, non rimane fermo, ma prende anche lui la croce e lo segue.

La croce definisce l’identità, la natura del discepolo. Non una verga, non uno scettro, ma una croce. Prendere la croce vuol dire essere pronto a seguire Gesù ogni giorno, vuol dire vivere intenzionalmente un processo di morte. Si sembra assurdo, ma non lo è. Prendendo la croce noi moriamo a noi stessi, in modo da guadagnare la vita eterna. Moriamo noi, con le nostre priorità e le nostre aspettative, per fare posto a Dio, le sue priorità e le sue aspettative. Perdiamo, in modo da vincere.

Moriamo con la croce sulla spalla, facendo sì che non ci curiamo più di quello che pensano gli altri, ma di quello che pensa Dio di noi. Moriamo con la croce sulla spalla, facendo morire il nostro orgoglio, per portare con fierezza l’orgoglio di Dio. Moriamo con la croce sulla spalla, sapendo che questa vita è solo un passaggio verso la gloria del ritorno di Cristo, la gloria di Dio e dei suoi angeli.

Paolo in 1 Corinzi 15 parla del seme, che deve morire per dare vita a qualcosa di più bello, un albero. Lo stesso vale per i discepoli di Cristo, che muoiono in questa vita, in modo da resuscitare in vita futura.

“l corpo è seminato corruttibile e risuscita incorruttibile; 43 è seminato ignobile e risuscita glorioso; è seminato debole e risuscita potente; 44 è seminato corpo naturale e risuscita corpo spirituale. “ (1 Corinzi 15)

Prendere la croce e seguirlo vuol dire essere pronti a morire, a sacrificare ogni cosa, per Cristo. Gesù ha vinto morendo sulla croce, e ci chiama a fare lo stesso.

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