Luca 14: 15-24 – Stefano Molino – (solo testo)

 

Una delle cose che colpisce spesso gli stranieri quando vengono in Italia è il tempo che passiamo a parlare di cibo. Una volta un mio amico dopo aver sentito un gruppo di credenti parlare per quasi due ore di lasagne ed altro mi disse che secondo lui era veramente un po’ troppo.

Aveva sicuramente ragione anche perché noi parliamo spesso di cibo da un solo punto di vista, cioè quello gastronomico, del gusto, di quanto è buono un piatto o di come cucinarlo meglio.

La Bibbia tuttavia parlare anch’essa moltissimo di mangiare. Pensate rapidamente a quanto volte si assiste a dei pasti, sia rituali come i sacrifici, sia conviviali, e pensate anche a tutte le norme che riguardano il cibo, regole, cibi impuri, digiuni e simili. Senza approfondimenti particolari vedo tre sensi principali del cibo:

  • come alimento necessario per vivere, con le conseguenti esortazione a dare del cibo a chi non ne ha.
  • in senso figurato, quindi l’insegnamento, il nutrirsi delle parole che escono dalla bocca di Dio
  • un momento di comunione in cui si mangia insieme: in fondo mangiare insieme è un atto quasi intimo. Non mangiamo insieme a chiunque

 

Il passo che leggiamo oggi tocca in particolare questo ultimo significato, senza tuttavia tralasciare gli altri due.

 

15 Uno degli invitati, udite queste cose, gli disse: «Beato chi mangerà pane nel regno di Dio!» 16 Gesù gli disse: «Un uomo preparò una gran cena e invitò molti; 17 e all’ora della cena, mandò il suo servo a dire agli invitati: “Venite, perché tutto è già pronto”. 

18 Tutti insieme cominciarono a scusarsi. Il primo gli disse: “Ho comprato un campo e ho necessità di andarlo a vedere; ti prego di scusarmi”. 19 Un altro disse: “Ho comprato cinque paia di buoi e vado a provarli; ti prego di scusarmi”. 20 Un altro disse: “Ho preso moglie, e perciò non posso venire”. 

21 Il servo tornò e riferì queste cose al suo signore. Allora il padrone di casa si adirò e disse al suo servo: “Va’ presto per le piazze e per le vie della città, e conduci qua poveri, storpi, ciechi e zoppi”. 22 Poi il servo disse: “Signore, si è fatto come hai comandato e c’è ancora posto”. 

23 Il signore disse al servo: “Va’ fuori per le strade e lungo le siepi e costringili a entrare, affinché la mia casa sia piena. 24 Perché io vi dico che nessuno di quegli uomini che erano stati invitati, assaggerà la mia cena”».

 

1. Dio ci invita a pranzo: siamo pronti?

Questo passo è preceduto da due insegnamenti importanti. Uno sull’umiltà, relativo al posto in cui sedersi quando si è invitati, e l’altro sulla carità, sul poter offrire pasti senza aspettarsi di averne un tornaconto. Rispetto a questi insegnamenti un commensale sente la necessità di esprimersi: “Beato chi mangerà pane nel regno dei cieli!”

Cosa significa quest’affermazione? E soprattutto, come si collega alla parabola che in seguito Gesù racconta?

Quest’uomo è un invitato e gode della bella atmosfera del convito organizzato dal ricco fariseo padrone di casa. Sicuramente si diverte, beve, chiacchiera e sta bene in compagnia. Per lui probabilmente è normale essere stato invitato, sarà un amico del fariseo, e visto che è tanto bello banchettare gli viene naturale di esclamare: come sarà bello banchettare anche nel regno di Dio, di questo regno futuro di cui Gesù parla spesso e di cui anche lui avrà sentito parlare.

È sicuramente convinto di poter essere invitato anche a quel convito nel regno di Dio, essendo un bravo religioso e uno scrupoloso osservatore della legge, come tutti i farisei.

 

La parabola di Gesù ha la funzione di fermarlo e di farlo riflettere. Attento. È facile rallegrarsi per un bel pranzo a cui si è invitati e per  una piacevole atmosfera, ma non è detto che tutti siano veramente disposti ad accettare l’invito. Nella parabola infatti tre degli invitati rifiutano.

 

A cosa ci invita Dio? Di cosa è metafora questo pranzo?

Conversione. Sicuramente ci invita ad un rapporto profondo con lui, proprio come quello che abbiamo con gli amici che invitiamo a cena. Se non sei propriamente un “amico di Dio” questa parabola ti dice che Dio ti chiama, e ti chiede se sei pronto ad accettare l’invito, a vivere la tua vita come un pranzo di condivisione con Dio. Quindi ad adorarlo. Quindi a non metterti al primo posto, come alcuni convitati, ma a lasciare il posto principale della tua vita a Gesù.

Missione. Per altri questo invito di Dio potrebbe essere un invito ad una missione speciale, a partire lasciando tutto per andare a realizzare un progetto particolare. Per altri ancora potrebbe essere un invito ad assumersi delle responsabilità per mettere in pratica i propri doni in chiesa, anche molto semplice.

Comunque sia si tratta di un invito molto forte fatto da un qualunque servitore che può essere un amico, un fratello un pastore che garantisce che tutto è già pronto. Non è un invito a faticare, un invito a soffrire, un invito a stare male, ma un invito ad un pasto già pronto, prospettiva molto confortevole per chi rientra la sera a casa.

Sicuramente ci sarà da prepararsi, da vestirsi, da uscire di casa e fisicamente da percorrere della strada per andare alla cena, ma qualsiasi sia l’invito il Signore garantisce che tutto è pronto: se è l’esercizio di un nostro dono, è perché Dio ce lo ha dato ed è pronto! Se è l’invito ad essere salvati, è che lui ha già fatto tutto per noi!

 

2. Le scuse.

Si viene qui alla parte della parabola che colpirà l’uomo che ha parlato. In realtà non tutti sono pronti a ricevere l’invito. Abbiamo qui sono tre esempi di persone che hanno detto di no, ma quelli che si sono scusati sono molti di più, qui abbiamo solo tre esempi. Vengono quindi fuori delle scuse, piuttosto ridicole, ma incentrate su quelle tipiche aree della vita che spesso costituiscono tutto per noi:

  • Ho comprato un campo e devo vederlo, cioè devo fare affari. Non mi basta il guadagno che ho, devo trarre un profitto ulteriore, quindi la cena può aspettare.
  • Ho comprato cinque paia di buoi, vado a provarli. Siamo qui nel mondo del lavoro. Il lavoro è fondamentale e senza non si vive e queste macchine antiche, i buoi, vanno provati. Quindi la cena può aspettare.
  • Ho preso moglie e perciò non posso venire! Qui sarebbe interessante capire perché. Ma l’argomento famiglia è un tipico argomento che viene sempre messo davanti a qualsiasi esigenza importante.

A ben guardare tutte queste scuse suonano piuttosto ridicole, perché per ognuna di queste ci si potrebbe chiede: ma c’è proprio bisogno di rifiutare, non si potrebbe rimandare a domani? Eppure questi, come tanti altri di cui non sappiamo le scuse rifiutano l’invito.

 

C’è un grosso problema di autosufficienza nell’antichità come oggi.

Troviamo facilmente dei succedanei, dei sostituti di Dio, delle cose che ci appagano e da cui troviamo apparentemente piena soddisfazione, perché concretamente occupano la nostra vita. Il lavoro, la famiglia, la ricerca del denaro facilmente prendono il sopravvento su momenti importanti, come quello di una cena intima con Dio.

Questa parabola entra dritta dentro le nostre vite troppo occupate e ci fa riflettere, chiedendoci se c’è posto per Dio. Potremmo considerare queste semplici scuse come degli esempi di una generale scusa umana nei confronti di Dio che tende ad evitare il suo invito.

Questa parabola ci ricorda che facilmente ci illudiamo di essere persone che cercano Dio, e che molti di quelli che dicono di cercarlo in realtà non sono pronti a riceverlo quando vengono chiamati. Ci domanda: esiste forse una scusa valida per rifiutare l’invito? Dove sono le nostre priorità?

 

3. I veri bisognosi.

Una volta che gli invitati hanno rifiutato l’invito, questo si apre nei confronti di altre persone. Sono chiaramente delle persone mancanti di qualcosa. O di soldi, oppure di arti, di organi utili alla vita.

Per gli amici dell’ospite la cena a cui sono stati invitati non ha in fondo una grande importanza, mentre queste persone mancanti non aspettano altro.

Altrove Gesù ha detto che sono i malati che hanno bisogno del medico, e quanto accade in questa parabola è molto simile. Ecco perché il Signore della parabola si adopera a fondo per raccogliere quanti più malati possibili trovando posto per tutti, ma promette anche a coloro che hanno rifiutato che non assaggeranno la cena.

Il significato della parabola è molto chiaro per il contesto giudeo in cui viveva Gesù, ed ha forti implicazioni anche per noi.

L’Israele di quel tempo è indubbiamente l’invitato primo, che in molti casi rifiuta. L’Israele del tempo considerava i gentili come dei menomati, delle persone mancanti che avevano meno privilegi, ed il regno è aperto proprio a loro, senza ovviamente escludere tutti quei giudei che invece accettano l’invito.

Questa parabola parla molto bene anche alla nostra società, in particolare a quella occidentale.

Sviluppo, economia, benessere, miglioramento delle condizioni di vita di una parte privilegiata del mondo danno spesso la sensazione di non avere bisogno di niente, di poter essere autosufficienti.

Pensiamo di guarire dalle malattia, di migliorare la nostra condizione economica, di avere un’economia in continua crescita e questo spesso ci porta ad illuderci che siamo in un mondo in cui si va avanti per la meglio.

Basta in realtà molto poco per farci crollare e farci rendere conto della fragilità della vita.

La parabola è qui per dirci che quanto al nostro rapporto con Dio siamo ciechi, zoppi, poveri, e storpi. Non siamo autosufficienti, e la promessa bellissima che troviamo in questa parabola è che c’è posto, perché il padrone di casa si sta dando da fare per invitare.

Nel concreto ci porta a pensare quanto siano importanti quegli eventi in cui invitiamo a mangiare amici e conoscenti, e a che grande occasione sia per parlare di un Dio che invita.

 

Questo passo introduce molto bene la cena del Signore. È un momento di invito, di consolidamento del rapporto con Dio. Il pane e il vino ricordano il modo in cui Dio ci ha invitati alla sua mensa.

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