Il brano che analizziamo oggi inizia con questa parola, “così.” Il testo di oggi prosegue sulla scia di quanto detto la settimana scorsa, dove abbiamo visto dell’esempio di Cristo che ubbidendo al Padre ha lasciato tutto per venire in mezzo a noi, sulla terra, dove poi è morto sulla croce.
“12 Così, miei cari, voi che foste sempre ubbidienti, non solo come quando ero presente, ma molto più adesso che sono assente, adoperatevi al compimento della vostra salvezza con timore e tremore; 13 infatti è Dio che produce in voi il volere e l’agire, secondo il suo disegno benevolo. 14 Fate ogni cosa senza mormorii e senza dispute, 15 perché siate irreprensibili e integri, figli di Dio senza biasimo in mezzo a una generazione storta e perversa, nella quale risplendete come astri nel mondo, 16 tenendo alta la parola di vita, in modo che nel giorno di Cristo io possa vantarmi di non aver corso invano, né invano faticato. 17 Ma se anche vengo offerto in libazione sul sacrificio e sul servizio della vostra fede, ne gioisco e me ne rallegro con tutti voi; 18 e nello stesso modo gioitene anche voi e rallegratevene con me.
Dopo aver riflettuto con ammirazione sull’esempio di Cristo, Paolo continua con le esortazioni specifiche per la chiesa di Filippi. Esortazioni pratiche che sono quasi scontate, perché qui Paolo invita i filippesi a darsi da fare e chiunque abbia conosciuto anche in minima parte Cristo è quasi costretto a darsi da fare. Ma il tono di Paolo è comunque amorevole, pastorale. Egli infatti si rivolge in questo modo ai lettori “Così, miei cari, voi che mi avete conosciuto durante le prime evangelizzazioni a Filippi, miei cari che siete stato il frutto dell’opera del Signore, miei cari che avete fondato insieme a me una chiesa, non dimenticatevi di come Gesù ha cambiato la vostra vita, non dimenticatevi della gioia, della passione, dello zelo di quei primi giorni ma, anzi, continuate ancora oggi in questa direzione, siate ancora più ubbidienti e “adoperatevi alla vostra salvezza con timore e tremore” anche in questo momento in cui io sono molto lontano da voi.”
Ma come, “adoperarsi alla propria salvezza?” potrebbe dire qualcuno. Ma le chiese evangeliche non sottolineano di continuo che la salvezza è per grazia, mediante la fede, un dono di Dio affinché nessuno se ne vanti? (Efesini 2:8-9). Si, è vero. Anche noi affermiamo e difendiamo la salvezza per fede. Affermiamo anche che l’operato umano (le cosiddette buone azioni) sono una dimostrazione e un risultato della salvezza per fede, e non la base della salvezza o il modo per essere salvati. Anche in questo caso la salvezza viene inquadrata nell’operato di Dio che “produce in voi il volere e l’agire, secondo il suo disegno benevolo.” (13)
Credo che questa sia una precisazione necessaria, ma guardando al testo di oggi credo che Paolo non stia parlando della salvezza personale, ma stia parlando della vita corporativa della chiesa di Filippi. La chiesa di Filippi doveva lavorare sull’unità e sul coraggio, come abbiamo detto nelle ultime settimane, e qui Paolo sta continuando ad affrontare le difficoltà del corpo della chiesa. Paolo si sta rivolgendo alla comunità e non al singolo.
“La vostra non può essere interpretato in senso personale poiché l’apostolo esorta i filippesi ad avere gli occhi fissi sugli interesse degli altri… dopo il maestoso brano di 2:5-11, sarebbe del tutto inadeguato sottolineare la salvezza individuale; e i versetti che seguono si capiscono meglio se riferiti all’atteggiamento dei filippesi l’uno verso l’altro nella comunità di chiesa.” (140)
Vi cito due versetti che riportano le stesse parole “timore e tremore” che qui sono accostati alla salvezza, due versetti sempre di Paolo, dove l’apostolo descrive l’atteggiamento verso altri uomini.
“Ed egli (TITO) vi ama più che mai intensamente, perché ricorda l’ubbidienza di voi tutti e come lo avete accolto con timore e tremore.” 2 Corinzi 7:15
“Servi, ubbidite ai vostri padroni secondo la carne con timore e tremore, nella semplicità del vostro cuore, come a Cristo” Efesini 6:5
In che senso allora questa salvezza alla quale adoperarsi è di chiesa?
L’esortazione di Paolo è rivolta a tutta la chiesa, in modo che tutta la chiesa lavori alla salute spirituale della comunità. Nel caso della chiesa di filippi essa doveva lavorare alla restaurazione di rapporti armoniosi, è la questione era molto importante perché ne andava della sopravvivenza (che forse rende meglio l’idea) della chiesa, che forse avrebbe potuto rischiare di chiudersi o dividersi. La salvezza (Atti 27:34) allora di questa chiesa è una questione di vita o di morte terrena, di esistenza e di rappresentanza terrena, più che una salvezza personale ed eterna.
La chiesa è spesso paragonata ad un corpo, nel quale ogni membro per quanto diverso, deve operarsi per il bene del corpo nella sua interezza. Oppure potremmo parlare della chiesa come di una squadra di calcio, dove non solo gli 11 giocatori in campo hanno ruoli e compiti diversi, ma anche tutto lo staff è fondamentale ed è parte integrante della squadra: dall’allenatore che prepara la giusta strategia per affrontare gli avversari, al fisioterapista che rimette in sesto i giocatori infortuni, al cuoco che prepara gli alimenti di cui i giocatori hanno bisogno, all’autista del pullman che porta i giocatori allo stadio.
Tutti noi siamo importanti per il benessere di questa chiesa, per la salute di questa chiesa. Il tuo lavoro non passa inosservato e non è meno importante di quello che fanno gli altri.
Ovviamente questo lavoro da parte dei filippesi, e il nostro lavoro oggi, non è una missione umana, ma è comunque il frutto di un lavoro di Dio, che è all’opera sia nella nostra volontà che nel nostro operare. La chiesa è di Dio e per fortuna Dio è costantemente all’opera nella sua chiesa, per la sua chiesa ed attraverso la sua chiesa. Per tornare all’esempio di prima, per quanto limitato, potremmo vedere Dio come il presidente della squadra di calcio, che mette a disposizione le risorse, che acquista e assume, che presenta la visione e la missione della squadra, che agisce e vince attraverso i giocatori che gli appartengono.
In che modo, praticamente, i filippesi potevano lavorare alla sopravvivenza della chiesa?
Facendo ogni cosa senza mormorii e senza dispute (14) e tenendo alta la parola di vita (16). Il primo è di nuovo un invito da Paolo, che veramente si ripete spesso su questo punto, a lavorare per il bene della comunità. L’altro è un incoraggiamento a difendere il vangelo, che è l’unico messaggio, l’unica parola in grado di salvare.
Questo tipo di atteggiamento avrebbe dovuto portare ad una testimonianza molto chiara in mezzo ad una “generazione corrotta e perversa” (15). La chiesa deve diventare il luogo che riflette con maggiore chiarezza la luce di Dio, un candelabro che deve essere ben lucente. E questa luce per essere notata deve essere in mezzo alle persone, nel mondo, perché altrimenti è una luce che non serve a molto.
La chiesa è quindi qualcosa di speciale. È lo strumento che Dio ha creato per raggiungere e penetrare le tenebre. Per questo motivo ogni chiesa deve lavorare alla propria salvezza, far si di rimanere una testimonianza fedele e trasparente di Cristo, di non permettere a niente (falsa teologia, divisioni, pressioni esterne o interne, sofferenza, vanagloria) di spegnere questa testimonianza (diventare una chiesa che da una cattiva testimonianza, o sparire come chiesa etc). Per questo sottolineiamo l’importanza del ruolo e del lavoro della chiesa, per la quale Cristo è morto e si è sacrificato, per la quale Cristo è diventato la pietra angolare. Lo facciamo però sapendo di poter contare sull’appoggio fondamentale di Dio, che ha sempre il controllo della situazione. Quindi anche un nostro eventuale fallimento non limiterà o influenzerà il piano di Dio.
La speranza, non vana, dell’apostolo Paolo era di non doversi pentire del lavoro fatto per quella chiesa, come la fatica di un corridore che arrivato al traguardo dopo una lunga e faticosa corsa scopre di essere stato squalificato. Come visto in precedenza, non sarebbe la morte o la sofferenza s squalificarlo o a rattristarlo. Anzi, il martirio e la sofferenza per la fede delle sue chiese porta una grande gioia all’apostolo, così come doveva portarne ai credenti di filippi.
19 Ora spero nel Signore Gesù di mandarvi presto Timoteo per essere io pure incoraggiato nel ricevere vostre notizie. 20 Infatti non ho nessuno di animo pari al suo che abbia sinceramente a cuore quel che vi concerne. 21 Poiché tutti cercano i loro propri interessi, e non quelli di Cristo Gesù. 22 Voi sapete che egli ha dato buona prova di sé, perché ha servito con me la causa del vangelo, come un figlio con il proprio padre. 23 Spero dunque di mandarvelo appena avrò visto come andrà a finire la mia situazione; 24 ma ho fiducia nel Signore di poter venire presto anch’io.
25 Però ho ritenuto necessario mandarvi Epafròdito, mio fratello, mio compagno di lavoro e di lotta, inviatomi da voi per provvedere alle mie necessità; 26 egli aveva un gran desiderio di vedervi tutti ed era preoccupato perché avevate saputo della sua malattia. 27 È stato ammalato, infatti, e ben vicino alla morte, ma Dio ha avuto pietà di lui; e non soltanto di lui, ma anche di me, perché io non avessi dolore su dolore. 28 Perciò ve l’ho mandato con gran premura, affinché vedendolo di nuovo vi rallegriate, e anch’io sia meno afflitto. 29 Accoglietelo dunque nel Signore con ogni gioia e abbiate stima di uomini simili; 30 perché è per l’opera di Cristo che egli è stato molto vicino alla morte, avendo rischiato la propria vita per supplire ai servizi che non potevate rendermi voi stessi.”
Dal versetto 19 del 2 capitolo cambia il tema. Paolo passa a parlare di Timoteo e di Epafrodito, dandoci un’idea dei suoi piani futuri e presenti. Timoteo vuole essere mandato da Paolo in futuro, è questo a dimostrazione dell’amore genuino di Paolo che è disposto a privarsi del suo collaboratore più fidato, uno di quelli che cercano non i propri interessi ma quelli di Gesù (21). Paolo vuole che gli appelli della lettera possano essere incoraggiati dalla presenza di Timoteo e possibilmente anche dalla sua venuta. Questo piccolo paragrafetto sui piani futuri dell’apostolo è incorniciato, al versetto 19 e 24, dalla consapevolezza che la fiducia e la speranza sono nel Signore.
Spesso pensiamo di poter fare tante cose, spesso pensiamo di avere a disposizione tante occasioni da sfruttare, ma nei momenti di difficoltà, come Paolo che si trova in prigione, ci rendiamo conto ancora meglio che tutto quello che vorremmo fare, tutto quello che sogniamo, tutto quello che desideriamo è nel Signore. Spero che non vediamo questo come qualcosa di limitante o bloccante, ma come la rassicurazione che non siamo soli e che non confidiamo solo sui nostri calcoli che sono umani e che possono essere sbagliati.
I progetti sono quindi sempre da considerarsi nel Signore, se è la volontà del Signore. Ne è la conferma anche i versetti successivi. Il secondo paragrafetto parla infatti di Epafrodito, un personaggio sicuramente meno famoso di Timoteo e di Paolo. Questo Epafrodito sembra che sia stato mandato dalla chiesa di Filippi sia per portare una offerta sia per rimanere con Paolo per collaborare con lui nella sua missione. Pensate un po’ al dispiacere che deve aver provato Epafrodito, mandato dalla propria chiesa come missionario, con tanti sogni e tante aspettative, un uomo di valore che avrebbe potuto fare molto per il Regno di Dio e che viene definito come “fratello, compagno di lavoro e di lotta” (25). E poi, durante il viaggio verso Paolo o al suo arrivo, Epafrodito si ammala gravemente, fino a quasi morire. Non si sa di che malattia abbia sofferto Epafrodito, il termine greco può indicare sia un disturbo nervoso, per esempio causato dallo stress o dalla lontananza da casa, o una malattia fisica, del corpo.
Perché Paolo chiede ai filippesi di accoglierlo con gioia e avendo stima di questo uomo? Non dovrebbe essere normale una cosa del genere? Forse perché spesso quando ci rendiamo conto che i nostri piani non hanno avuto successo tendiamo a essere molto critici. Forse i filippesi erano critici rispetto ad Epafrodito, forse pensavano che si era arreso troppo presto o troppo facilmente, forse speravano che il membro della loro chiesa potesse rendergli più orgogliosi, lavorando al fianco del grande apostolo e missionario, Paolo. Spesso succede anche a noi, per esempio con i missionari, o con coloro che più si danno da fare, che più cercano di capire la volontà e il piano di Dio. Oppure quando ci ritroviamo a servirlo dove non volevamo. In quei momenti non dobbiamo demoralizzarci e non dobbiamo criticare i nostri collaboratori, perché le situazioni possono essere cambiate, o perché Dio ha permesso determinate cose, ma, appunto, non dobbiamo rattristirci o rigettare i nostri fratelli e le nostre sorelle che stanno semplicemente servendo l’opera di Cristo così come ha fatto Epafrodito.
La nostra vita come individui singoli e la nostra vita come chiesa devono essere vissuti alla luce dell’esempio di Cristo, in ubbidienza al Padre, per il servizio della chiesa e per l’opera di Cristo. Questi sono le pietre miliari. Il resto, i nostri piani, i nostri sogni, le nostre aspettative possono essere confermati o stravolti dalle circostanze della vita ma se siamo in Cristo possiamo rimanere fiduciosi e speranzosi. Magari ti senti come Paolo, non sicuro di quello che ti succederà nel futuro, oppure come Timoteo, in attesa di indicazioni sul quando partire o iniziare qualcosa, o come Epafrodito, scoraggiato e di fronte ad un confronto che preferiresti evitare, oppure come uno dei membri della chiesa di Filippi, tentato di pensare che la tua idea sia più importante della chiesa. Qualsiasi sia la tua posizione, puoi portala alla croce. Puoi affrontarla in Cristo, che come abbiamo visto la settimana scorsa, è il nostro sommo sacerdote, maestosamente divino e incredibilmente uomo.
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